Dal sito Internet di MISNA , Agenzia di Stampa particolarmente attenta alle problematiche nel sud del mondo che, come riportato nel loro sito web,

"intende soprattutto essere fonte integrativa e talvolta correttiva delle troppe ripetitive 'informazioni geneticamente modificate' (igm) di solito disponibili attraverso i grandi fornitori 'globali' di notizie".

riprendiamo questo interessante contributo dedicato alle lingue a rischio estinzione nel mondo. Un argomento a cui la nostra Rivista ha già dedicato attenzione in passato ed intende farlo anche in futuro. Ringraziamo gli Amici di MISNA per l'amichevole autorizzazione alla pubblicazione anche qui su LoScrittoio.it, invitando tutti i nostri lettori interessati ad avere una visione ampia su quanto accade nel Sud del Mondo, ad una visita quotidiana sul sito MISNA.

 

 

ONU   27/8/2005   5.16

UNESCO: 90% DELLE LINGUE DEL PIANETA 'RISCHIA L'ESTINZIONE'

I ricercatori dell'Unesco, ente Onu per istruzione, scuola e cultura, prevedono che il 90% delle lingue attualmente parlate nel mondo potrebbero scomparire entro il secolo, sotto la spinta della globalizzazione: già oggi il 97 % della popolazione mondiale parla un numero di lingue che rappresenta a malapena il 4% dell'intero patrimonio linguistico del pianeta e il restante 96 % delle lingue è utilizzato solo dal 3 % della popolazione. Inoltre, un decimo degli idiomi diffusi sulla terra è parlato da comunità composte da non più di 100 persone. Queste stime testimoniano una diversità linguistica sbalorditiva che esperti dell'Unesco e linguisti di tutto il mondo hanno intenzione di mettere al sicuro con una complessa "operazione di salvataggio" studiata per preservare la ricchezza linguistica dalla tendenza prevalente nel mondo e che vede crescere la predominanza degli idiomi principali: cinese, inglese, hindi/urdu, spagnolo, arabo, portoghese, russo, bengali e giapponese.

 

 

SUD DEL MONDO   27/8/2005   6.07

CHE COSA STA SUCCEDENDO ALLE LINGUE DEL SUD DEL MONDO?

Man mano che la globalizzazione aumenta, aumenta anche il numero delle lingue che muoiono, provocando la scomparsa di intere culture e identità e impoverendo il mondo dal punto di vista umano; e il fenomeno sembra riguardare soprattutto il "sud del mondo", inteso soprattutto ma non solo in senso geografico, visto che sono gia morte o in via di estinzione non poche lingue di indiani del Nordamerica accanto a quelle di indigeni dell'Australia, di tribù africane e di popolazioni autoctone dell'America Latina. E' la National Science Foundation (Nsf) di Washington a lanciare un allarme sul fenomeno - affermando esplicitamente che "la globalizzazione sta danneggiando le lingue" ­ e a chiamare a raccolta specialisti disposti a utilizzare altri due milioni di dollari di finanziamenti (dopo quattro e mezzo già distribuiti a 39 iniziative per 70 idiomi a rischio) in progetti per salvare almeno qualcun altra delle lingue morenti. "La gente preferisce svolgere affari e comunicare in lingue molto diffuse, come l'inglese, il cinese, l'hindi, lo spagnolo e il russo" ha scritto Nicolle Rager Fuller della Nsf, aggiungendo che altri fattori come internet e la televisione stanno contribuendo al "linguicidio" in corso soprattutto nelle regioni meno evolute del mondo al ritmo di due lingue estinte ogni mese e con la prospettiva di assistere in totale alla scomparsa di almeno 3000 idiomi su un totale di circa 6-7000 ancora esistenti (10.000 secondo alcuni studiosi). Più numerose sono le lingue in uso più grandi sono, secondo i ricercatori, le possibilità di mappare il potenziale e i limiti della mente umana, di custodire un patrimonio unico di "conoscenze locali" ( da contrapporre all'effetto omologante della globalizzazione) e quindi di comprendere meglio, in ultima analisi, la storia dell'umanità. "Ogni lingua- sostiene Wade Davis, antropologo ed 'esploratore' del mensile e della fondazione statunitense 'National Geographic' ­ è una foresta antica della mente, una cascata di pensiero, un ecosistema di possibilità spirituali". Gli esperti dell'Nsf fanno anche altre considerazioni: "Per coloro che parlano una delle principali lingue del mondo può essere difficile capire che cosa significa la perdita di un idioma; e possono perfino pensare che il mondo sarebbe migliore se parlassimo tutti la stessa lingua. In realtà, molto spesso l'imposizione di usare una sola lingua si associa spesso alla violenza. Governi repressivi proibiscono certe lingue e certe consuetudini come forma di controllo. E i popoli conquistati attuano la loro resistenza parlando la loro lingua e conservando le proprie abitudini." Sia detto solo per inciso e senza la minima nostalgia autarchica, ma anche in paesi come l'Italia, bombardati da un inglese spesso maccheronico e incerto ma dilagante come il prezzemolo anche dove non servirebbe affatto, un po' di 'resistenza' potrebbe non essere fuori luogo.

 

Un'altra considerazione dei linguisti riguarda l'importanza della sopravvivenza del maggior numero di lingue possibili anche a fini di arricchimento di una lingua rispetto all'altra, come per esempio è accaduto in grande misura proprio all'inglese che ha ottenuto in prestito,modificato e incorporato non poche importanti parole da altre lingue, diventando più ricco e articolato di quel che era all'origine. Già esistono fortunatamente alcuni progetti che da anni si dedicano alla preservazione di idiomi in pericolo; accanto all' "E-meld" avviato dalla stessa Nsf (Electronic metastructure for endangered language data, metastruttura elettronica per i dati di lingue in pericolo) e al "Rosetta project", sorta di biblioteca linguistica digitale, di particolare importanza almeno per una parte del 'sud del mondo' è "L'archivio delle lingue indigene dell'America Latina", noto come 'Ailla' che ha già raccolto preziosa documentazione sulle centinaia di lingue, da 550 a 700, ancora parlate in tutta l'America Latina - ce n'erano 1750 prima prima dell'arrivo degli europei - dal confine messicano con gli Stati Uniti fino al sud del Cile, inclusi i Caraibi. Questa parte del mondo è ancora una miniera di conoscenza straordinaria visto che le sue "famiglie di lingue" sono per lo meno 56, secondo gli esperti, e le sue lingue "isolate" ( quelle senza idiomi apparentati) sono 73; a confronto, in Europa, le famiglie di lingue sono solo due, l'indo-europea e la finno-ungarica con un unico ceppo "isolato", il basco. Nel 1993, secondo un rapporto citato da 'Ailla' c'erano circa 40 milioni di indigeni in America Latina, circa il 10 % della popolazione e in alcuni paesi costituivano una presenza molto rilevante fino al caso della Bolivia, in cui più della metà degli abitanti è di origine indigena, ma solo in due paesi, Perù e Paraguay, consideravano una lingua indigena idioma ufficiale, rispettivamente il Quechua e il Guaranì, accanto allo spagnolo. "Lingue già moribonde 20 anni fa, non più imparate dai bambini ­ afferma 'Ailla' - potrebbero ormai essere estinte. Il Tehuelche, registrato su nastri negli anni '60, è morto perchè è morta l'ultima persona che lo parlava; la maggior parte degli idioni dell'America Latina sono oggi parlate da meno di 5000 persone, molte molte di meno in molti casi. L'Oluteco, idioma dello stato mesicano di Veracruz, è parlato soltanto da una dozzina di anziani". In questa prospettiva, di grande interesse appare una ricerca di Gary Urton e Carrie J.Brezine dell'università statunitense di Harvard secondo il quale alcuni 'khipu' ­ complesse e indecifrabili strutture di corda e nodi, talvolta colorate, tipiche dell'impero degli Incas - potrebbero essere considerati come una sorta di antico linguaggio scritto peraltri non ancora decodificato. Urton e Brezine hanno concentrato di recente la loro attenzione su alcuni 'khipu' che proverrebbero dalla città di Puruchuco, poco più di 10 chilometri a nord di Lima, la capitale del Perù. Mentre ogni mese continuano a morire due lingue, saranno i khipu a restituircene una? (Pietro Mariano Benni)[MB]


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