NON FACCIAMONE UNA CROCIATA

 

Autore: Stefano Ceccatelli

 

Viviamo tempi difficili.
Ovunque echeggiano toni da crociata contro l'Islam.
Ieri mattina, prima di pranzo, leggendo il giornale, ho dovuto sciropparmi la desolante analisi della situazione internazionale offerta da Samuel Huntington, un intellettuale che da anni va profetizzando scontri violenti e, a parer suo, inevitabili tra le principali civiltà del pianeta e, in primo luogo, tra la cristiana e la islamica.
Ieri sera, guardando il TG dell'ora di cena, una rapida carrellata di servizi sul terrorismo islamico e già eravamo tutti portati ad identificare il mondo islamico con una fucina di terroristi.
I media contribuiscono ad ingenerare insicurezza tra le persone.
L' "altro", colui che la pensa diversamente da noi, è guardato come un nemico da strati sempre più vasti della popolazione.
Il panorama dei media è davvero sconfortante.
D'altronde i media stessi sono gestiti molto spesso dai "poteri forti" del mondo cosiddetto sviluppato in modo da non scomodare le coscienze dei "consumatori di informazione", con questo duplice risultato: evitare, da un lato, che chi già gode di uno status di tranquillità e di benessere si interroghi sulle vere cause dell'ingiustizia e del sottosviluppo (di cui quegli stessi poteri forti sono non di rado corresponsabili) e, dall'altro, di mantenere la gente docile e serva del consumismo, fonte inesauribile di guadagni.
La violenza e la contrapposizione di questi giorni (qui sì, Huntington ha ragione) nascono dalla miseria in cui versano tante popolazioni islamiche. Dall'ingiustizia nasce l'odio verso i governanti di quei paesi (sovente sostenuti dai governi occidentali) e l'odio è la linfa cui attinge il terrorismo.
Ma delle cause dell'attuale conflitto ho già parlato nel precedente articolo ( "Un New Deal energetico")e pertanto non mi dilungo.
Si affacciano però prepotentemente alcune domande, alle quali solo dei veri esperti potrebbero rispondere.
Il problema è che la guerra ha messo la sordina alle analisi pacate e obiettive, che appaiono sempre più moneta rara. Fortunatamente qualcuna di queste si trova ancora.
Sul n° 22/2001 della rivista "Città Nuova", ad esempio, c'è un interessantissimo articolo (significativamente intitolato "Non farne uno scontro di civiltà") dell'amico Paolo Lòriga, che riporta un'intervista a Padre Justo Lacunza.
Lacunza, 57 anni, basco, nato nella Navarra, ha studiato filosofia a Pamplona, teologia a Londra, Islam e lingua araba a Roma e Tunisi, dottorato a Londra alla scuola di studi orientali e africani.
Ha vissuto in paesi arabi, africani e asiatici, in cui ha condotto specifiche ricerche sul mondo musulmano. Lacunza è attualmente rettore del pontificio istituto di studi arabi e islamici.
L'intervista è molto lunga. Ne riporto soltanto due stralci.
Oggi alcuni autori (tra cui il sopra citato Samuel Huntington) paventano un conflitto tra civiltà. Qual è la sua valutazione in proposito?
Lacunza: "Per me non è uno scontro tra civiltà. Non è nemmeno tra occidente e Islam. I paesi scesi in guerra non sono tutto l'occidente. E Bin Laden, con tutta una rete internazionale di supporto logistico, tecnologico e finanziario, non rappresenta il mondo musulmano. Non è uno scontro tra religioni e tra culture, e non bisogna farlo diventare. Piuttosto, bisogna lottare contro il terrorismo, ma con intelligenza, non con la distruzione. Il terrorismo è una questione di ordine pubblico, non di guerra. Nelle costituzioni dei paesi civili, Italia inclusa, non c'è posto per l'odio. Se qualcuno predica l'odio in piazza o in parlamento ("o attraverso i media", N.d.R.), va perseguito in nome della giustizia".
Che valutazione dà p. Justo Lacunza sul dialogo tra cristiani e musulmani?
Lacunza: "Occorre moltiplicare le occasioni in cui è possibile incontrarsi, parlare, scambiarsi idee, pareri, punti di vista. Per questo serve cambiare linguaggio, perché quello usato in occidente è un idioma di guerra. Non dimentichiamo che sono i musulmani stessi a non volere il terrorismo.
Il fanatismo nel nome dell'Islam ha danneggiato milioni di musulmani. I primi a soffrire per il governo dei talebani sono stati proprio i musulmani afghani, che stanno subendo una visione islamica molto refrattaria, molto rigida, che non dà spazio a nessuno. Per non parlare dei rapporti con le altre società islamiche a livello mondiale. I musulmani algerini sono i primi a pagare il prezzo di bande armate che nel nome dell'Islam uccidono per ricavarsi spazi di potere".
Fin qui p. Justo Lacunza.
Il discorso di p. Lacunza, tuttavia, suscita nuove domande, tutte connesse a questo tema ­ cruciale ­ della pace e della guerra nel mondo islamico.
Ad esempio, perché in una civiltà come quella islamica, che avrebbe una vocazione spirituale assai spiccata (vedi il precedente articolo su "Cristianesimo e Islam") sono potute sorgere, come tante schegge impazzite, cellule che avallano l'uso della violenza nella strutturazione della società?
Ancora, che cosa significa davvero il termine jihad, che sentiamo spesso usare, anche in TV, con il senso fuorviante di "guerra santa"?
E infine, sono plausibili le motivazioni di quanti accusano l'Islam di essere una religione portata a legittimare l'uso della violenza?
Siccome si è svolto da poco un convegno, a Torino, di cui mi sono giunti echi molto positivi da parte di amici che vi hanno partecipato, che ha affrontato proprio le tematiche che stanno dietro a queste domande, in un prossimo articolo cercherò di fornire un breve resoconto delle questioni che in quella sede sono emerse.
Per ora mi fermo qui, augurando a tutti un sereno Natale e un buon 2002.