La Rivoluzione di Haiti, ossia l'altra faccia della Rivoluzione francese.

 

Autore: Stefano Ceccatelli

 

Ci sono molte omissioni nei manuali scolastici. Sono omissioni che fanno molto male perché non hanno alcuna giustificazione. Davvero non dovrebbero essere permesse in un ambiente come la scuola.
Una di queste gravi omissioni riguarda la storia della Rivoluzione haitiana del 1791 che portò, dopo dodici anni di lotte feroci, alla proclamazione della prima Repubblica nera: la Repubblica indipendente di Haiti.
Essendo un fatto direttamente connesso con i fatti della Rivoluzione francese, dovrebbe trovare lì, in queste trattazioni manualistiche, la sua naturale collocazione. Invece niente. E sull'evento haitiano, che mostra la faccia più oscura della tanto celebrata Rivoluzione francese, cala un colpevole silenzio.
Ci voleva di assistere ad una videoconferenza presso l'Associazione Polis, una scuola di formazione politica ispirata alla dottrina sociale cristiana, per alzare il sipario su un evento che fino ad ora non conoscevo.
Ma cerchiamo di capire più da vicino di cosa si tratta.
La piccola Haiti è la parte occidentale dell'antica isola di Santo Domingo, scoperta da Colombo nel 1492 e da lui battezzata Hispaniola.
Per le sue ricchezze l'isola divenne subito oggetto delle mire dei colonizzatori europei, che ne sfruttarono le miniere d'oro prima di passare alla coltivazione delle piantagioni di zucchero.
Possedimento spagnolo fino al 1697, Haiti fu acquistata dalla Francia con il Trattato di Ryswick e da allora divenne la più importante colonia francese proprio grazie alla coltivazione dello zucchero.
Le piantagioni di zucchero dell'isola prosperavano sulla schiavitù dei neri africani e, da questo punto di vista, prima la Spagna, poi soprattutto la Francia, durante il '700, diedero vita a uno sfruttamento massiccio.
Le navi negriere francesi importarono, nel corso del secolo, una media di 20.000 schiavi africani all'anno; alla vigilia della Rivoluzione francese c'erano a Haiti quasi mezzo milione di schiavi neri che vivevano in condizioni inimmaginabili.
A fronte di questo dato, stava una minoranza bianca di 20.000 persone, detentrice di tutte le terre e di gran parte delle ricchezze.
Fra i due opposti mondi si collocava una seconda minoranza di popolazione meticcia (60.000 persone), con sangue misto, bianco e africano, giuridicamente libera e proprietaria in piccola parte delle ricchezze dell'isola.
Fu proprio questa popolazione meticcia a sollevarsi per prima, allo scoppio della rivoluzione nella madrepatria, reclamando per sé i diritti politici e le altre tutele di cui era ancora priva.
Appoggiando la rivoluzione parigina i mulatti credevano di ottenere dai bianchi residenti a Haiti la piena uguaglianza nei diritti, indipendentemente dal colore della pelle.
Sulle prime i proprietari bianchi repressero queste rivendicazioni. Ma i mulatti non desisterono ed anzi inviarono dei loro rappresentanti a Parigi, all'Assemblea Nazionale, chiedendo il sostegno della madrepatria.
Quest'accesa lotta politica per l'uguaglianza dei diritti fra bianchi e mulatti si svolgeva intanto sotto gli occhi sempre più interessati degli schiavi neri, che cominciavano così a formarsi una loro coscienza politica.
Era una lotta interna alle due minoranze che li dominavano, nessuna delle quali era minimamente interessata alle condizioni di vita degli schiavi neri.
Anche a Parigi, nei dibattiti in seno all'Assemblea Nazionale, nessuno si pronunciò per l'abolizione della schiavitù.
Era perfino proibito pronunciare quella famigerata parola ­ "schiavi" ­ nel corso dei dibattiti parlamentari, perché non si poteva tollerare che la Francia dei lumi, libera, uguale e fraterna, permettesse simili realtà. Pertanto bisognava sostituire quella parola infamante con la circonlocuzione "persone non libere".
Era davvero il trionfo dell'ipocrisia.
Durante i lavori dell'Assemblea prese la parola anche Robespierre e, su questo tema rovente della sollevazione dei mulatti liberi nella colonia, si pronunciò apertamente a favore dell'alleanza fra i proprietari bianchi e quelli mulatti, onde poter meglio mantenere i neri in stato di schiavitù.
E anzi, dopo quest'importante pronunciamento politico del principale esponente della rivoluzione parigina, si arrivò, nel 1792, a conferire i diritti politici anche ai mulatti di Haiti.
E' in questo frangente che gli schiavi neri si ribellano.
Guidati dall'ex schiavo Toussaint L'Ouverture, i neri intraprendono la guerra rivoluzionaria che li porterà a liberarsi nel nord dell'isola già nel 1793.
Temendo che i neri potessero allearsi con gli spagnoli, interessati ai possedimenti coloniali francesi, la Convenzione Nazionale francese abolì la schiavitù a Haiti il 4 febbraio 1794 e nominò Toussaint L'Ouverture generale dell'esercito.
La guerra a Haiti però non si placò e anzi si intensificò dopo il colpo di stato che nel 1799 portò Napoleone Bonaparte al potere in Francia.
Questi inviò una colossale spedizione militare, guidata dal generale Leclerc, incaricato di riconquistare la colonia e di ristabilire la schiavitù.
Toussaint L'Ouverture rispose con un'insurrezione generalizzata, ma fu catturato e deportato in Francia, dove morì nel 1803.
Ma ormai il corpo di spedizione guidato dal Leclerc era allo stremo; i seguaci di Toussaint, riuscendo a ottenere l'unità fra neri e mulatti, con una serie di eroiche campagne, obbligarono il generale francese alla capitolazione.
Il 28 novembre 1803 fu proclamata l'indipendenza. In questo modo Haiti divenne la prima Repubblica indipendente dell'America Latina e, per molto tempo, il principale punto di riferimento per tanti altri movimenti di liberazione.
Quello che più interessa, al di là delle vicende contingenti, è porre in parallelo le due rivoluzioni e riconoscere che la Rivoluzione haitiana mostra tutti i limiti della Rivoluzione francese.
Mostra soprattutto il carattere fortemente eurocentrico
di quest'ultima: i principi di libertà, uguaglianza e fraternità, tanto solennemente sbandierati come principi di valore universale, non avevano affatto valore per tutti.
Di fatto si continuava a credere, e sarà così ancora a lungo in Europa, nell'inferiorità naturale dell'uomo africano, per il quale pertanto tali principi non potevano valere.
Era un pregiudizio culturale assai duro a morire e che costituisce un limite culturale della Rivoluzione francese.
Ma ce ne è un altro, direttamente connesso e altrettanto importante: i valori non possono essere enunciati in astratto, altrimenti rischiano di essere presto dimenticati o di trasformarsi nel loro contrario. Occorre che un valore sia vissuto, incarnato nella concreta vicenda storica, applicato ad ogni diversità.
Credo sia davvero importante, alla luce di un mondo che va sempre più globalizzandosi, riflettere su questi fatti e riconoscere che una vera fraternità può sorgere solo laddove sono garantiti i diritti di tutti, nel rispetto più profondo e sincero di ogni diversità e di ogni identità etnica e culturale.
Per concludere, ritorno al punto d'inizio. La scuola ha urgente bisogno di rinnovamento. Di uomini prima di tutto. Servono uomini e donne nuovi, capaci di sperimentare nella loro vita la fraternità di cui si diceva. Ma servono anche strumenti nuovi: come è oramai anacronistico continuare a vedere appese, nelle aule dei nostri ragazzi, le antiche carte Mercatore (un geografo del 1500!), così palesemente eurocentriche e falsificatrici della realtà, così servirebbero editori nuovi e coraggiosi, capaci di raccontarci la storia senza censure e con gli occhi rivolti anche al sud del mondo.

Bibliografia: Guida del mondo. Il mondo visto dal sud 2003/2004, alla voce "Haiti", ed. EMI