Autore: Stefano Ceccatelli
FEDE E SCIENZA IN EUROPA: BREVE CONSUNTIVO DI UN MILLENNIO.
"Dobbiamo coltivare sia le nostre facoltà scientifiche sia quelle religiose, se intendiamo sviluppare pienamente la nostra natura" (Max Planck)
"Non è possibile alcun contrasto tra scienza e religioneLa scienza senza la religione è zoppa; la religione senza la scienza è cieca" (Albert Einstein)
Queste affermazioni dei due padri della grande rivoluzione
scientifica compiutasi nel nostro secolo mi offrono lo spunto
per tentare un breve consuntivo del millennio che volge al termine,
riguardo all'evoluzione del pensiero scientifico e al suo dialogo
con la fede.
Farò riferimento quasi esclusivamente al contesto europeo
perché, sono parole del grande chimico e sinologo Joseph
Needham, "l'Europa non ha creato una scienza qualsiasi, ma
la scienza mondiale".
L'evoluzione del pensiero scientifico europeo
La storia della scienza si presenta come il lento passaggio
da una teoria d'insieme, che rende conto di tutte le conoscenze
scientifiche di quel dato periodo, ad un'altra teoria o "paradigma"
(per usare il termine coniato dal filosofo della scienza Thomas
Kuhn). ) Il giorno in cui una nuova conoscenza contraddice violentemente
la teoria d'insieme, ecco che è necessario elaborarne un'altra
che serva da nuovo punto di partenza.
Dal Medioevo ai nostri giorni, l'Europa ha conosciuto solo tre
teorie generali: quella di Aristotele, la quale fece il suo ingresso
in Occidente nel secolo XIII ed era frutto di un'eredità
lontana; quella che potremmo definire newtoniana, che fonda la
scienza cosiddetta "classica" ed, infine, le teorie
di Planck e di Einstein, che inaugurano la scienza contemporanea.
La scienza di Aristotele
Il pensiero di Aristotele (IV sec. a.C.) giunse in Occidente
tramite le tardive traduzioni degli scritti di Averroé,
un commentatore arabo del grande filosofo e scienziato greco.
A Parigi i commentari di Averroé suscitarono una vera rivoluzione,
tanto che nel 1215 i programmi dell'Università della Sorbona
furono modificati da cima a fondo, sostituendo allo studio della
letteratura latina quello della logica aristotelica.
Il sistema del mondo che Aristotele aveva sviluppato dominò
in Europa fino al secolo XVII, allorché crollò sotto
gli attacchi portati, a più riprese, da Keplero, da Galilei,
da Newton.
La cosmofisica di Aristotele è, beninteso, completamente
scaduta. Ciò nondimeno si tratta di una teoria fisica altamente,
anche se non matematicamente, elaborata. Non è né
un grezzo prolungamento del senso comune, né una fantasia
infantile, ma una teoria che, pur partendo dai dati forniti dal
senso comune, li sottopone ad una critica serrata ed estremamente
coerente.
Indubbiamente Aristotele pone come assioma, cioè come una
verità indimostrabile, l'esistenza di un'unità del
mondo, di un "cosmos" (termine che potrebbe essere reso
con "armonia universale"). Ma forse che Albert Einstein
ha agito diversamente? Quando gli fu chiesto: "Cosa dimostra
che vi sia un'unità nella natura?", egli rispose:
"E' un atto di fede". E un'altra volta disse: "Non
posso pensare che Dio giochi a dadi col cosmo".
Il limite principale del sistema aristotelico, se si eccettua
l'assenza dell'elaborazione matematica, era la sua incapacità
di spiegare il movimento dei proiettili senza ricorrere a strani
artifici. Non a caso esso cominciò a vacillare proprio
nel secolo XVII, allorché i grandi progressi della matematica
condussero Galilei e poi Newton a scoprire le leggi della dinamica.
Il sistema newtoniano
Il balzo in avanti della scienza nel secolo XVII fu opera
di personalità eccezionali (Fermat, Descartes, Galilei,
Keplero, Leibniz, Newton, Pascal, per non citare che le principali),
in costante comunicazione fra loro, poiché la scienza,
da quel momento, divenne un fenomeno internazionale che, in barba
alle barriere politiche o linguistiche, si diffuse a macchia d'olio
in tutta Europa.
Da tutto quel poderoso movimento di ricerche nacque un nuovo paradigma
scientifico: l'universo astratto, matematizzato, meccanico di
Newton, in cui tutto si riassume in un solo principio, quello
della gravitazione universale, secondo il quale i corpi si attirano
in rapporto diretto alla loro massa e inverso al quadrato delle
loro distanze. In un siffatto paradigma, era ritenuta scienza
solo quella che studiava i fenomeni materiali che si svolgono
nello spazio e nel tempo, concepiti come assoluti.
A fianco di enormi progressi in tutte le discipline scientifiche,
che si andavano sempre più settorializzando, si diffuse
un pensiero di tipo materialista che andò allargandosi
a molti campi del sapere; ci fu perfino chi arrivò a sostenere
che anche gli uomini sono "macchine" ("L'uomo-macchina"
è il titolo di un libro di un allora famoso medico e biologo,
Julien de la Mettrie), e che l'anima umana e lo spirito non sono
altro che materia. "Quando faccio il bene o il male, quando
sono virtuoso il mattino e vizioso la sera, la causa di tutto
ciò è il mio sangue", affermava La Mettrie,
e si capisce come si sia potuti giungere, per questa strada, al
completo ripudio dei valori spirituali in vasti settori della
cultura.
All'indomani della rivoluzione francese il grande filosofo tedesco
Hegel, il più lucido interprete del suo tempo, in un'analisi
chiaroveggente lamentava il fatto che la scienza e la fede erano
diventate fra loro nemiche ed invocava la conciliazione tra Dio
e uomo, rispettivamente capisaldi della tradizione metafisica
e dell'epoca moderna.
Il paradigma della relatività
Il XX secolo è iniziato con una rivoluzione senza precedenti
nella scienza; protagonisti di questo capovolgimento, che ha portata
all'instaurazione di un nuovo paradigma scientifico, sono stati
Max Planck e Albert Einstein, autori di due teorie che all'inizio
apparvero addirittura incomprensibili ai fisici classici del tempo:
la Teoria dei Quanti (1900) e la Teoria della Relatività
ristretta (1905), quest'ultima perfezionata nel 1919.
Tali teorie hanno completamente stravolto le credenze scientifiche
dei secoli precedenti relative a materia, spazio e tempo. Prima
di Einstein e di Planck l'idea che ci si faceva della materia
era semplice: frantumando un sasso si ottiene polvere; in essa
ci sono delle molecole composte di atomi, una sorta di "biglie"
della materia che si suppongono indivisibili. La nuova scienza
ci dice invece che occorre rinunciare all'idea tradizionale di
materia tangibile, concreta, solida: la particella ultima della
realtà, il quark, non ha infatti nessuna realtà
materiale. E si deve ammettere che lo spazio e il tempo sono illusioni,
dato che una stessa particella può essere individuata contemporaneamente
in due posti diversi.
A poco a poco cominciamo a capire, mi sembra, che il reale è
coperto da un velo. Ma cosa c'è dietro questo velo? Di
fronte a questo enigma sono possibili solo due atteggiamenti:
uno conduce verso l'assurdo, l'altro verso il mistero. L'unica
cosa sicura è che la scienza non può più
permettersi di negare a priori le concezioni proposte dalle religioni.
Ed è ora, nell'incontro con questo mondo sconosciuto ed
aperto, che può veramente cominciare un dialogo fecondo
fra fede e scienza. Come ebbe a dire una volta Louis Pasteur,
il più grande chimico del secolo scorso, "poca scienza
allontana da Dio, ma molta riconduce a lui".
Riferimenti bibliografici
F.Braudel, Cristianesimo, umanesimo, scienza, in id., Il mondo
attuale, Einaudi, 1966
V.Mancuso, , Hegel: la salvezza trinitaria della storia , in A.A.V.V.,
La Trinità e il pensare , Città Nuova, 1997
T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi,
1978