PACE, DEMOCRAZIA, NECESSITA’ DI UNA "GOVERNANCE" GLOBALE

 

Autore: Stefano Ceccatelli.

 

Il desiderio di giustizia, di pace, di mondo unito, oggi come mai prima d’ora si sta facendo visibile.

E’ un desiderio quasi palpabile; lo senti parlando con il vicino di casa che espone una bandiera arcobaleno, nel conoscente che ti invita a un seminario sul consumo critico, nelle iniziative che si moltiplicano sotto gli occhi nelle nostre città.

E’ un fenomeno nuovo nella storia. Non si erano mai viste centinaia di milioni di persone partecipare contemporaneamente, in tutto il globo, a iniziative per la pace.

E’ senz’altro una presa di coscienza del valore della politica, ma al tempo stesso è un fenomeno che non ha un colore politico definito; è uno schieramento trasversale, è un ritrovarsi insieme sotto grandi temi che appassionano e appartengono a tutti: uno sviluppo economico sostenibile, una globalizzazione solidale, la difesa del verde e del pianeta in cui viviamo.

Si potrebbe definire un fenomeno pre-politico, perché esprime la richiesta di una politica più giusta, di una politica che abbia davvero a cuore il bene comune e le generazioni future.

Ognuno di noi, quasi suo malgrado, respira questa richiesta di novità e può trovarsi coinvolto in qualcuna delle tante iniziative di pace che ogni giorno sono promosse, specie a livello locale.

Spesso tuttavia si sente affermare che chi partecipa a tali iniziative è, ipso facto, avverso agli Stati Uniti d’America. E’ una balordaggine, e spiego perché.

Partiamo da un presupposto. Non si può, a priori, essere avversi a una data nazione.

I contesti storici sono in continua evoluzione. La vita è sempre in movimento. Le situazioni vanno valutate nell’attimo presente.

Non c’è dubbio che abbiano ragione coloro che ringraziano gli USA per essere intervenuti durante la seconda guerra mondiale per liberare gli europei dalla presenza del nazifascismo.

Ringraziamo dunque gli statunitensi, soprattutto quelli che hanno dato la vita in quella guerra, per quanto hanno fatto nel 1945.

Quell’intervento significò la conservazione, non solo della vita, della libertà e dei diritti dei popoli europei, ma anche di molti dei valori fondanti della cultura europea, quei valori che in Italia si riassumono nei valori della Costituzione.

Fu in seguito alla liberazione operata dagli USA che paesi come l’Italia e la Germania, che avevano sperimentato sulla propria pelle l’incubo del nazifascismo, poterono di lì a poco dotarsi di Costituzioni genuinamente democratiche, pilastri delle attuali democrazie.

L’Italia, ad esempio, ha oggi una delle Costituzioni più democratiche del mondo, frutto del lavoro di politici illuminati come Alcide De Gasperi, Igino Giordani, Giuseppe Dossetti e altri ancora.

Uno dei punti salienti e più avanzati di questa Costituzione è l’articolo 11 che testualmente recita: "L’Italia ripudia la guerra come strumento d’offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo."

Proprio l’aver sperimentato durante il ventennio fascista l’opprimente e massiccia presenza di uno stato totalitario, spinse i nostri costituenti a limitare le prerogative dello stato in materia di pace e di guerra e, contemporaneamente, a favorire lo sviluppo di organismi internazionali democratici, tesi al conseguimento di ordinamenti che potessero assicurare la pace e la giustizia fra i popoli.

Questi organismi internazionali sono, in primo luogo, l’ONU e la NATO; ma non si deve dimenticare il grosso contributo italiano alla creazione di una Europa comunitaria e democratica senza frontiere, a cominciare già da De Gasperi, che di quest’Europa fu addirittura un fondatore. Fin qui credo che siamo tutti d’accordo.

Solo che oggi, a distanza di oltre mezzo secolo dagli avvenimenti sopra riportati, si avvertono sinistri scricchiolii all’impalcatura democratica delle nostre ricche ed avanzate democrazie occidentali, e pertanto appare necessario correre ai ripari.

Cerchiamo di entrare nel merito. Un buon punto di osservazione può essere proprio l’art. 11 della Costituzione italiana.

Esso, si è detto, ripudia la guerra come strumento di offesa; consente invece interventi armati di natura difensiva se avallati da organismi internazionali democratici.

Quest’ultima postilla ci fa capire che già i nostri costituenti avevano chiaro in testa che, con la fine della seconda guerra mondiale, era terminata l’epoca degli stati nazionali e si era entrati in una fase nuova che oggi, comunemente, è detta epoca della globalizzazione.

Se questo era vero già cinquant’anni fa, figuriamoci oggi che il mondo è diventato un unico mercato globale.

Il problema è che, oggi, tale globalizzazione economica procede senza un’autentica guida.

Si avverte la mancanza di una "governance" globale dell’economia e dei flussi finanziari.

In realtà organismi internazionali che potrebbero guidare la globalizzazione economica verso approdi solidali e democratici esistono.

Abbiamo citato l’ONU e la NATO, ma potremmo aggiungerci il FMI, la Banca Mondiale, il WTO, e altri ancora.

Purtroppo però tutti questi organismi, attualmente, non sono nelle condizioni di poter operare democraticamente.

Qui il discorso si fa troppo ampio e complesso per la natura di questo articolo, ma alcuni punti già appaiono sufficientemente chiari: il diritto di veto tuttora vigente in molti dei suddetti organismi internazionali, pregiudica notevolmente la loro legittimità democratica. Non è giusto, infatti, che una sola Nazione, per quanto potente, possa bloccare con il suo veto le eventuali intese raggiunte dalle altre nazioni. Su questo punto una riforma mi pare urgente.

In altri casi, invece, tali organismi internazionali basano la rappresentanza delle singole nazioni al loro interno sul valore del PIL (Prodotto Interno Lordo). E’ il caso del FMI.

Anche in questo caso il deficit democratico appare evidente: nazioni ricche e potenti dispongono di un enorme potere all’interno di quell’organismo internazionale, al contrario delle nazioni povere o in via di sviluppo che hanno poca o punta voce in capitolo, pur essendo formalmente rappresentate in quel contesto.

La conclusione è una sola: c’è necessità di una "governance" globale che guidi la globalizzazione verso approdi democratici e solidali ma nessuna nazione, da sola, per quanto potente militarmente ed economicamente, potrà esercitare questo ruolo di guida e di leadership, pena lo svuotamento dall’interno della legittimità democratica. Gli organismi internazionali esistenti devono perciò essere riformati per poter svolgere adeguatamente il loro ruolo di garanzia e di controllo.