LIMITI DELLA SCIENZA E GLOBALIZZAZIONE
Autore: Stefano Ceccatelli
Nel 1852 Auguste Comte (1798-1857), il fondatore del positivismo,
pubblicò un libro dal titolo paradossale: "Catechismo
positivista", dove il secondo termine era riferito
alla visione positiva, cioè scientifica, della realtà,
propugnata dal filosofo francese.
Era tale la fiducia nella scienza, a metà dell'Ottocento,
che il vecchio Comte pensò di farne quasi una religione.
E così si capisce anche il senso del secondo termine del
titolo dell'opera di Comte: le verità scientifiche erano
ritenute così "assolute" da costituire dei veri
e propri "dogmi", che dovevano sostituire i vecchi
dogmi della religione. Comte elaborò perfino un nuovo calendario,
alternativo a quello ecclesiastico, dove invece dei santi si dovevano
venerare gli scienziati e, più in generale, coloro che,
con le loro scoperte, avevano fatto compiere significativi progressi
all'umanità. Comte pensò perfino a dei sacerdoti,
vale a dire degli educatori - i filosofi positivisti -, che dovevano
detenere il potere spirituale indispensabile al progresso della
società. Sul finire della vita Comte fondò perfino
una chiesa, della quale si proclamò sommo sacerdote, che
gli sopravvisse alcuni anni diffondendosi soprattutto in Inghilterra
e in Brasile. Ma anche senza raggiungere tali eccessi, i filosofi
positivisti nutrirono una fiducia entusiastica nella scienza e
nel progresso, al punto che il pensiero positivista, nella
seconda metà dell'Ottocento e fino alla prima guerra mondiale,
divenne anche la filosofia "ufficiale" della classe
imprenditoriale borghese in rapida ascesa.
Il secolo che seguì non poteva dare smentita più
eclatante ai romantici ideali di questo primo positivismo.
Le guerre mondiali e la miriade di guerre e guerriglie locali
che hanno contrassegnato quello che è stato definito "il
secolo breve" (1914-1989), hanno assestato duri colpi a quella
fiducia acritica nella scienza di cui si diceva, quasi affondando
la diffusa credenza nelle "magnifiche sorti e progressive"
dell'umanità.
La stessa scienza del Novecento, grazie ad alcune fondamentali
scoperte, ha contribuito a scalzare dalle fondamenta il piedistallo
su cui era stata posta precedentemente; il "principio di
indeterminazione" di Heisenberg (1927) o il Teorema di Godel
(.), tanto per fare due esempi, hanno mostrato che il "limite"
è qualcosa di connaturato alla scienza stessa.
A completare l'opera di smantellamento dell'impalcatura ottocentesca,
dagli anni '50 e '60 del ventesimo secolo, ci si sono messe anche
le catastrofi ecologiche e ambientali. Tra le altre possiamo ricordare
l'inquinamento da mercurio nel mare di Minimata (Giappone), il
naufragio della petroliera Torrey Canyon nel canale della Manica
(Inghilterra-Francia) nel 1967, la contaminazione da diossina
a Seveso (Italia) nel 1977; gli incidenti alla centrale termonucleare
di Three Miles Island (USA) nel 1979; la fuga di sostanze tossiche
dall'industria chimica di Bhopal (India) nel 1984; l'esplosione
della centrale nucleare di Chernobyl (URSS) nel 1986, per non
parlare del danneggiamento dell'equilibrio climatico causato dall'
"effetto serra", dalle pioggie acide, dalla deforestazione,
dalla desertificazione, etc. etc.
Una serie non ancora finita di disastri che ha generato ulteriore
sfiducia, nell'opinione pubblica mondiale, nei confronti dell'utilizzo
che l'uomo fa delle nuove acquisizioni scientifiche.
E siamo così arrivati ai giorni nostri.
Essendo appena iniziato un nuovo secolo, anzi un nuovo millennio,
viene spontaneo chiederci quale sia, tra l'entusiasmo acritico
dell'Ottocento e la disincantata sfiducia novecentesca, il giusto
atteggiamento da tenere di fronte alla scienza e, soprattutto,
di fronte alle ricadute tecnologiche che ad essa, inevitabilmente,
fanno seguito.
Il discorso è molto ampio e mi riprometto di riprenderlo
in considerazione in un secondo momento.
Per ora mi limito a due sole considerazioni.
Per prima cosa credo sia opportuno educarci ed educare a mantenere
un atteggiamento critico nei confronti di qualsiasi ideologia
umana, fosse anche un paradigma scientifico. Ogni filosofia,
ideologia, teoria scientifica, è soggetta a dei limiti.
Nel campo delle realizzazioni umane non esiste nulla di assoluto.
Ben vengano la curiosità e la passione per la scienza,
ingredienti senza i quali la conoscenza non potrebbe fare passi
avanti, ma bando ai fanatismi e agli integralismi. Nessun paradigma
scientifico è immunizzato per sempre contro l'errore.
Inoltre la scienza, da sola, non può affrontare i problemi
che implicano istanze etiche o religiose. Verso la scienza sarà
pertanto opportuno mantenere un atteggiamento critico e vigile.
E tanto più nei confronti delle applicazioni tecnologiche,
vale a dire dell'utilizzo (industriale, militare, etc.) che l'uomo
fa delle scoperte scientifiche.
La seconda considerazione è la seguente: oggi si parla
tanto di globalizzazione, come è giusto, essendo essa ormai
la nostra realtà. Ecco, credo che anche le scienze debbano
acquisire questa prospettiva globale. Esse sono, ancora oggi,
troppo settorializzate, divise in compartimenti stagni, al punto
che i linguaggi specifici che esse usano rischiano ormai di essere
inutilizzabili per comunicare. E' una babele di lingue scientifiche
iperspecializzate che hanno però perso di vista il contesto
globale comune a tutte. E' necessario promuovere una scienza
capace di cogliere i problemi fondamentali e globali per inscrivere
in essi le conoscenze parziali e locali. Nel contesto in cui
viviamo sarà infatti sempre più importante saper
cogliere le connessioni e le reciproche influenze fra le parti
e il tutto.
Sono problemi fondamentali che ancora aspettano una risposta.
Bibliografia:
Mi limito a citare il seguente, prezioso, libretto:
Edgar Morin, I sette saperi necessari all'educazione del
futuro, Milano, Raffaello Cortina, 2001.
L'autore, sociologo di fama mondiale, ha pubblicato questo libro
col sostegno e col patrocinio dell'UNESCO, l'agenzia dell'ONU
che si occupa della promozione della cultura, della scienza e
della cultura. In un certo senso è un libro a più
mani perché l'autore ha voluto che esso fosse letto ed
eventualmente corretto da personalità universitarie e funzionari
internazionali dell'Ovest, dell'Est, del Nord e del Sud proprio
per avere la certezza che le sette esigenze educative contenute
nel libro fossero veramente avvertite in tutto il pianeta.