Adolescenti collaborativi e altruisti. Per un rinnovamento della didattica.



Autore: Stefano Ceccatelli



Concludevo il mio precedente articolo (Matematica e Bellezza. Per un Rinnovamento della Didattica, LoScrittoio.it, Maggio 2008) citando Andrea Fogari, il diciassettenne di Gorizia che ha vinto le recenti Olimpiadi italiane della Matematica e che rappresenterà i nostri colori ai giochi olimpici mondiali. 

Il nostro Andrea ha dichiarato infatti di amare la matematica “perché lo aiuta a capire come funziona il mondo”.

Una frase come questa autorizza a pensare che Andrea (e penso tanti altri giovani come lui) oltre ad avere avuto dei validi maestri, abbia anche vissuto un’adolescenza sana, “normale”, tesa ad una valida integrazione sociale, a dispetto di tanta cronaca spicciola che sembra quasi divertirsi a tratteggiare al negativo gli adolescenti italiani.


Vorrei spendere due parole su questo termine “adolescenza”, chiarendo subito di cosa si tratta, almeno dal punto di vista psicologico, per poi passare a dare qualche semplice consiglio al nostro nuovo ministro della pubblica istruzione.

Credo di potermelo permettere visto che da vent’anni vivo la scuola dal di dentro, a quotidiano contatto con gli adolescenti.


Se accettiamo quanto insegna il prof. Vittorino Andreoli, uno dei più autorevoli studiosi della psiche, autore di libri di grande successo, l’adolescenza è il periodo, drammatico e affascinante, della “nascita di una nuova identità” proprio mentre si sta celebrando “il funerale del proprio passato”, legato all’infanzia e alla famiglia. (tutte le frasi in neretto sono citazioni tratte da V. Andreoli, Lettera a un insegnante, Bur, Milano, 2007). 

Il vecchio mondo va adesso seppellito ed è “su questa base che si attiva la distruttività e quell’essere-contro la famiglia” (cit., p.159) tipico dell’adolescente.

I genitori non devono preoccuparsi di questo, che, anzi, è un buon segno: il figlio adolescente li maltratta e li contesta proprio perché “sono padri e madri che hanno svolto particolarmente bene il loro ruolo nell’infanzia del figlio” (p.159). Il “nido” familiare era così bello che l’adolescente ha adesso bisogno di convincersi, per crescere, che i suoi genitori “sono diventate persone oscene” e che il nido era “obbrobrioso” (p.159).

Nell’adolescenza si affronta una metamorfosi senza sapere “come finirà e se finirà” (p.159). E’ un periodo pieno di paure e c’è “un unico modo per essere rassicurati: quello di mettersi in un gruppo di pari età in cui specchiarsi” (p. 160). Il semplice far parte di un gruppo “dà sicurezza e calma l’ansia della metamorfosi, il terrore di Gregor Samsa, nella Metamorfosi di Kafka” (pp.160-161).

Fin qui Andreoli. Ma se le cose, almeno nella prima adolescenza (quella che va grosso modo dai 12 ai 15 anni, chiamata così per distinguerla dalla seconda adolescenza, che in genere arriva fino ai diciott’anni e ha caratteristiche diverse) stanno come dice il nostro psichiatra, allora la scuola non può non tenerne conto.


Se la scuola deve aiutare a vivere, allora deve conoscere la vita dei suoi allievi in questa fase” (p.164). E’ necessario, per insegnanti ed educatori, conoscere gli adolescenti, immedesimarsi con i pensieri e i sentimenti dei nostri ragazzi, che “spesso sono poverissimi in affetti e in comprensione e dunque faticano a crescere” (cit. p.165). 

Consiglio vivamente a tutti la lettura di questo breve testo di Andreoli, scritto con la mente e con il cuore, e dal quale ogni tanto si delinea, fra le pieghe delle pagine, il profilo del priore di Barbiana, il grande Lorenzo Milani. 


E veniamo ai consigli al nuovo ministro. Personalmente gli consiglierei di sperimentare in Italia due tecniche di apprendimento che, all’estero, hanno già ottenuto ottimi risultati: l’apprendimento cooperativo e l’apprendimento servizio.

Il Cooperative Learning (apprendimento cooperativo) è nato negli USA una trentina d’anni fa e fa leva proprio sull’importanza del gruppo in età adolescenziale. 

Non entro nei dettagli di questa tecnica (per i quali rimando all’articolo in bibliografia), ma monitoraggi effettuati da molte ricerche mostrano che tale apprendimento “per gruppi” presenta notevoli vantaggi, come un miglioramento del clima di classe, una maggiore disponibilità degli alunni ad aiutarsi reciprocamente, una diminuzione dell’ansia negli studenti, una maggiore efficacia nell’apprendimento, una crescita della motivazione allo studio e rapporti sociali meno competitivi e più tesi alla collaborazione (Pirrone-Rapisarda, “Lo sviluppo delle abilità sociali per migliorare il clima di classe attraverso l’utilizzo del Cooperative Learning”, in “Psicologia dell’educazione e della formazione”, Erickson, 7, 1, 2005, pp.63-78. 


Per quel che riguarda invece l’apprendimento servizio riporto quel che ho avuto modo di ascoltare tempo fa, in una conferenza pubblica svoltasi a Scandicci, dalla viva voce della pedagogista argentina Maria Nieves Tapia. 

Maria Nieves Tapia, che collabora con il ministero della pubblica istruzione argentino, ha introdotto nel suo paese già da tempo un nuovo stile di apprendimento, detto appunto  “apprendimento-servizio”, ottenendo fin da subito ottimi risultati.


Di cosa si tratta?

Maria Nieves Tapia descrive l’apprendimento-servizio come un processo in tre tappe, e lo illustra con l’esempio che segue.

Immaginiamo una scuola situata nelle vicinanze di un fiume: la prima tappa consiste nel recarsi al fiume per prelevare un campione della sua acqua.

Questa tappa è importante perché porta la classe fuori dai ristretti confini dell’aula, conducendola alla scoperta del territorio circostante, ponendo così le premesse per un  rapporto diretto fra scuola e ambiente circostante.


La seconda tappa consiste nelle analisi fisico-chimiche del campione d’acqua prelevato, da effettuarsi, a cura degli studenti, nei laboratori di cui la scuola dispone. 

E’, anche questa, una tappa molto importante perché essa restituisce alle materie teoriche il valore che è loro proprio, l’importanza imprescindibile che le caratterizza.


Infine, la terza tappa, momento conclusivo del processo: essa mostra che lo studio non può essere fine a sé stesso. E allora, se dalle analisi fisico-chimiche effettuate dagli studenti risulterà che l’acqua del fiume è inquinata, gli studenti della classe andranno in cerca dei politici e degli amministratori del territorio per chiedere conto del loro operato ed esigendo risposte ed interventi concreti.

Così facendo l’apprendimento ottenuto a scuola produce un servizio al territorio e all’intera sua popolazione.

Mi risulta che l’apprendimento-servizio, che educa in pratica alla collaborazione e all’altruismo (o prosocialità), stia incontrando il favore di un numero crescente di dirigenti scolastici e di insegnanti e che in alcune zone, anche qui in Toscana, si stiano avviando le prime sperimentazioni.


Ora abbiamo tre donne, in Italia, chiamate a custodire ambiti così delicati come la scuola, i giovani e l’ambiente. Al di là delle differenti opinioni politiche, è legittimo chiedersi quante belle opportunità si potrebbero aprire al Paese, se le neo-ministre, dopo aver fatto amicizia e stretto un patto di reciproco aiuto, si sintonizzassero davvero su quel genio femminile che accomuna tutte le donne e lavorassero insieme per il bene del paese, applicando progetti del tipo che ho appena descritto. 





Bibliografia


Vittorino Andreoli, Lettera a un insegnante, Bur, Milano, 2007

Michele De Beni, Educare all’altruismo, Erickson, Trento, 2000

Concetta Pirrone, Annalisa Rapisarda, “Lo sviluppo delle abilità sociali per migliorare il clima di classe attraverso l’utilizzo del Cooperative Learning”, in “Psicologia dell’educazione e della formazione”, Erickson, 7, 1, 2005, pp.63-78. 

Maria Nieves Tapia, Educazione e solidarietà. La pedagogia dell’apprendimento servizio, Città Nuova, Roma, 2006