Le bugie del P.I.L. e le verità dello Zimbabwe

Autore: Stefano Ceccatelli.

 

 

Il P.I.L. (Prodotto Interno Lordo) è senz’altro un indicatore di ricchezza poco trasparente, incapace di raccontare completamente la verità. Questo indicatore, infatti, attualmente così importante nel condizionare le scelte dei governi, mescola insieme alle reali ricchezze di un paese, attività economiche negative come il riciclaggio di denaro sporco, la droga, i traffici illeciti come il traffico di organi umani, la prostituzione, gli incidenti automobilistici (per riparare i danni delle vetture occorreranno meccanici che giustamente vorranno essere pagati e se ci sono dei feriti giustamente bisognerà pagare il personale ospedaliero) ed altro ancora.

Dichiarare guerra ad un altro paese, poi, porta ad un immediato innalzamento del P.I.L. per effetto della produzione di armi e della crescita di tutto l’imponente apparato burocratico-militare collegato alla guerra.

Dobbiamo rallegrarci, allora, quando i mass-media ci parlano di previsioni di crescita del P.I.L., per un dato paese? No, certo, perchè tale aumento può essere dovuto alle cause precedentemente indicate.

Si può dire con certezza che, a causa degli ormai noti limiti biofisici della terra, per tutti i paesi occidentali è non solo auspicabile, ma doveroso, categoricamente doveroso, richiedere alle autorità che li governano una immediata e congrua riduzione del P.I.L.

Questo deve valere per tutti noi, dall’agricoltura all’industria al terziario: "Non è possibile immaginare il nostro modello di consumo come standard comune a tutti gli abitanti del pianeta" (1).

Ma esistono ancora paesi per i quali, invece, bisogna attivarsi per ottenere una rapidissima e consistente crescita del P.I.L.

E’ il caso, ad esempio, dello Zimbabwe, il paese africano più colpito dalla sindrome HIV.

Lo Zimbabwe ha un P.I.L. di 6 miliardi di dollari l’anno. Che sono niente per un paese di circa 12 milioni di abitanti, di cui 3.500.000 con il corpo segnato dall’A.I.D.S.

La spesa media pro-capite per la sanità è di, udite udite, 12 dollari l’anno, mentre le sole terapie per l’ A.I.D.S. (se si facessero) costerebbero ben 36 miliardi di dollari. Molto meno, tuttavia, se si usassero gli antiretrovirali generici che soltanto adesso, per opera dei volontari, cominciano ad arrivare in Zimbabwe da altri paesi in via di sviluppo.

Non so più che dire. Mi consola pensare che ci sono persone, come Silvia, 29 anni, dottoressa, od Emily, 46 anni, esperta coordinatrice di interventi umanitari, che dopo mesi di permanenza in Zimbabwe, dicono: "Stavo male i primi giorni, poi ho imparato a liberarmi da una grande tentazione e presunzione: quella di pensare di poter salvare qualcuno. Non sono qui a espiare nessun senso di colpa, sono qui a fare il mio lavoro, come lo farei a Milano. So che facendo così la mia presenza è utile, anche se ho imparato a veder gente morire davanti a me senza che io possa far nulla".

"E’ vero, la nostra è una piccola goccia, ma serve. Serve a tener viva la speranza che è in noi e in chi incontriamo. Non è possibile fare nessun passo indietro rispetto a questo e rispetto a noi. Questa è l’unica cosa non negoziabile". (2)

 

 

 

(1): Wolfgang Sachs, La sfida di Noè, EMI, citato in Fabio Salviato, Ultima generazione, EMI, Bologna, 2004, p.29.

(2): Riccardo Bonacina, "Pensieri dal paese-lazzeretto", editoriale di "Vita", Anno 11, n° 23, p.2 (giugno 2004).