Linee guida per un rinnovamento della pedagogia 


Autore : Stefano Ceccatelli 


Il nostro tempo è  bombardato dalle parole: a qualunque ora del giorno, se accendiamo la tv un fiume di parole ci inonda e ci sommerge.

Tuttavia questo parlare ininterrotto è frutto di una parola che non nasce più dalla relazione. Sono parole che accumulano nozioni senza produrre vero sapere e che non educano più. Sono parole vuote. Siamo stanchi ormai di questo fiume di parole. Urgono parole nuove, parole che ritornino davvero ad educare. Ma quali?


La parola ha un potere enorme; se bene usata può cambiare la vita di ognuno di noi, renderla migliore, educarla. Ma quali sono le parole che educano?

Sono le parole dotate di uno spessore reale quelle che lasciano un segno.

Il vero “in-segnante” (è il grande filosofo ateniese Platone a mostrarci l’etimologia di questa parola) è colui che pronuncia parole che rimangono incise nell’anima dell’interlocutore, dell’educando.


Ma neppure questo ai nostri giorni basta. Servono anche parole che facciano incontrare, chiusi come siamo nelle nostre case-“nido” per tante ore al giorno.

Oggi più che mai servono parole che ricomincino a creare comunità.

Se ascoltiamo i grandi maestri della pedagogia del nostro tempo (Dom Freire, Don Lorenzo Milani, Karl Rogers, Simone Weil, Chiara Lubich, Zygmunt Bauman e altri), tutti sottolineano la dimensione comunitaria della parola, la dimensione della relazione autentica con l’altro.

Primo requisito per costruire tale realtà comunitaria è l’ascolto.

Dice Karl Rogers: “Bisogna gioire nell’ascoltare profondamente colui che parla”. Dove sono da sottolineare quel saper gioire, che dice la curiosità, l’interesse, l’amore che devo mettere in ogni relazione che intreccio, e quell’ascoltare profondamente, che dice il farsi uno, l’annullamento del proprio io di quell’attimo presente per essere tutto pronto ad ascoltare con partecipazione l’altro.


Mesi fa ho partecipato ad un corso di aggiornamento sull’assertività, vale a dire quell’atteggiamento che ci porta a essere attivi, intraprendenti, dinamici, pieni d’iniziativa, a scuola, sul lavoro, in famiglia come in ogni situazione.

Ecco, in quell’occasione veniva ribadito con forza che un ascolto attivo, profondo, vero, è già il primo passo verso l’atteggiamento assertivo, perchè con questo ascolto siamo concreti, fattivi, costruttivi.

Ma se il primo requisito, in una relazione educativa, è l’ascolto, il secondo, altrettanto indispensabile, è la parola. Ognuno deve imparare a raccontarsi, a narrarsi, a mettersi in gioco apertamente: ma come?


Anche qui quello che conta è la dinamica del dono in cui occorre entrare. E’ questa dinamica del dono che sollecita la risposta dell’interlocutore e produce l’apprendimento reciproco.

Se facciamo così  passiamo da una logica di pensiero individualista (la forma di pensiero che ha dominato in occidente negli ultimi tre-quattro secoli), a una logica di pensiero personalista: un pensiero relazionale, incentrato sull’altro, sulla persona; un

pensare-insieme che nasce solo quando si è riusciti a instaurare una relazione affettiva con l’altro.

E’ stato questo pensiero individualista, modellato sul mercato, che ci ha resi affettivamenti “immuni” gli uni gli altri, e che ci ha affrancati da qualunque dipendenza affettiva verso gli altri.


Leggiamo quello che scrisse Adam Smith, il fondatore della moderna economia di mercato: “la società civile può esistere tra persone diverse...senza alcuna forma di amore reciproco o di affetto” (Teoria dei sentimenti morali, 1759).

Naturalmente Smith non era matto, come potrebbe far pensare la frase citata, estrapolata dal suo contesto. Smith non ce l’aveva con l’amore reciproco o con l’affetto; Smith voleva semplicemente distruggere ogni residuo di feudalesimo ancora presente ai suoi tempi.

E siccome il feudalesimo si era sempre basato sui rapporti personali, ecco allora Smith elaborare una nuova economia non più basata sui rapporti personali.

Viene in mente il famoso esempio di chi con l’acqua sporca butta via anche il bambino. Sarà banale ma forse successe proprio quello: nel suo desiderio di buttar via dei rapporti personali basati, nella gran maggioranza dei casi, sull’arbitrio, sull’ingiustizia, sulla sopraffazione (rapporti padrone-servo, come li avrebbe definiti nell’Ottocento il grande filosofo tedesco Hegel), Smith finì con il buttar via tutto, il rapporto personale tout court, arrivando così ad elaborare un tipo di economia a-relazionale, tesa ad eliminare qualunque tipo di rapporto personale, fosse anche il migliore, dalla società e dalla cultura.


Ecco perchè siamo diventati tutti individualisti, per lo meno qua in occidente, dove da più tempo siamo esposti alla logica individualista di quella società scaturita dall’economia liberista.

Dopo secoli di pensiero individualista e critico, ossia distruttivo, diventa fondamentale e urgente il passaggio a un pensiero relazionale, comunitario, costruttivo.

Certo, tutto questo non si improvvisa ed occorre allenarsi.

I media frenano questo mutamento perchè loro stessi sono i primi a essere imbevuti di pensiero critico distruttivo, come ne è imbevuta la maggioranza di quelli che lavorano in quel settore e ne sono imbevuti pertanto le logiche dei palinsesti e dei programmi.


Detto questo, sottolineo alcuni punti che mi sembrano cruciali, in prospettiva, per il lavoro che siamo chiamati a svolgere in questo mondo dell’educazione. 

  1. Un primo aspetto riguarda quello che Freire chiama l’uso effettivo della parola. E’ decisivo cioè che tutti abbiano la possibilità di prendere la parola, che tutti possano partecipare a produrre cultura. La facoltà di parola deve cioè tradursi in atto concretamente e ciascuno deve allenarsi a “prendere la parola”.
  2. Un secondo aspetto riguarda la coerenza fra parola e vita.        
  1. Sarà invece il caso di ribadire che il linguaggio dell’educatore dovrà farsi sempre più competente e qualificato, non essendo più ammissibili, in contesto lavorativo, sciatterie ed ignoranza del linguaggio disciplinare. Piuttosto andrà rimarcato il fatto che attenzione al linguaggio dovrà significare anche attenzione ai messaggi verbali e non verbali che il nostro giovane interlocutore continuamente ci invia, anche stando zitto, e che ci devono dire la qualità di ogni relazione educativa.
  2. Un altra aspetto fondamentale è il tentativo, da attuare ovunque e soprattutto in un contesto giovanile come è la scuola, di creare un clima positivo fra le persone. Questo clima, quando ci riesce di crearlo, funziona da reciproca stimolazione fra i vari interlocutori e incoraggia e rafforza l’apprendimento.
  3. Si generano così, e torniamo al punto da cui siamo partiti, vere e proprie comunità di apprendimento, palestre di pensiero in cui tutto viene messe in comune: ogni conoscenza, ogni esperienza, tutto quel che è pensiero costruttivo, contributo intelligente alla discussione, viene fatto circolare e viene valorizzato. E contribuisce a far crescere e a corroborare il necessario clima di apprendimento.
  4. Occorrerà favorire ogni identità personale e comunitaria, superando qualunque forma di etnocentrismo, e imparando, al tempo stesso, ad apprezzare la cultura altrui come la propria. Contribuiremo così a promuovere, in un’ottica di dialogo, l’educazione alla cittadinanza e alla fraternità planetaria.


Per concludere, una pensiero sulla parola educativa e uno sull’educatore.

La parola educativa deve ricominciare a generare una luce che sia, al tempo stesso, “sguardo carico d’affetto”, intelligenza personalista capace di lasciare un segno affettivo profondo nel nostro interlocutore e, non ultimo, “slancio spirituale”.


L’educatore, infine, dovrà essere simile a un“aquila che vola alto ed è capace di vedere tutti i dettagli”. L’educatore dovrà perciò essere madre e padre al tempo stesso: volando alto potrà amare come un padre, che vede lontano abbracciando il contesto di crescita del figlio; vedendo tutti i dettagli saprà amare come una madre, che coglie fin il più piccolo gemito, il più piccolo fremito, il più debole segnale emesso dalla persona cha ha davanti.

 


Bibliografia di riferimento:


Bruni Luigino, La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, Il Margine, Trento, 2007

Rogers Carl, La terapia centrata sul cliente, tr.it. 2000


Milani Don Lorenzo, soprattutto Le esperienze pastorali e la Lettera a una professoressa, LEF, Firenze


Freire P., La pedagogia degli oppressi, tr. it. 1975


Lubich Chiara, Lezione in occasione del conferimento della laurea h.c. in pedagogia presso Università di Washington, 2000, in eadem, Una cultura nuova per una nuova società, Città Nuova, Roma, 2002


Weil Simone, soprattutto Oppressione e libertà e La condizione operaia


Bauman Zygmunt, Voglia di Comunità, Laterza, Bari, 2002


Platone, I Dialoghi, Einaudi, Torino