Volti della storia.

 America: Amerigo Vespucci


Autore: Stefano Ceccatelli


Si avvicina a grandi passi il quinto centenario della morte di Amerigo Vespucci (2012, essendo Amerigo morto nel 1512 all’età di 58 anni) e questo mi dà lo spunto per ripresentare la sua personalità di navigatore, scrittore umanista e giornalista “ante litteram”.

Se ne sarò capace vorrei, a partire da questo articoletto, portare alla ribalta una serie di volti di personaggi storici europei che hanno lasciato un segno nei continenti non europei. 


Partenza dunque con Vespucci, personaggio-chiave in quei decenni cruciali successivi alla scoperta del continente americano (1492). Partiamo da una semplice domanda: ci siamo mai chiesti perché quel continente si chiama America e non Colombia? La domanda è, in effetti, pertinente: Vespucci non fu né il primo a navigare l’Atlantico (pare siano stati i vichinghi), né lo scopritore dell’America, né colui che indovinò per primo trattarsi di un continente del tutto nuovo (meriti questi di Cristoforo Colombo). Tuttavia, fu attraverso gli occhi e l’immaginazione di Amerigo Vespucci che gli europei fecero la conoscenza degli usi e costumi del nuovo continente e dei suoi abitanti. Furono i suoi scritti a tener desta l’attenzione dell’opinione pubblica colta, non certo i resoconti di Colombo, tesi semmai a suscitare, nei sovrani spagnoli o nei ricchi armatori che finanziavano le sue spedizioni, interesse per le presunte grandi ricchezze americane.


Come giustamente è stato scritto, “Colombo ha scoperto l’America ma non gli americani” (T.Todorov, “Viaggiatori e indigeni”, in E.Garin, L’uomo del Rinascimento, p.339, cui rimando per approfondimenti). 

I reportages di Vespucci, invece, letterariamente scritti e infarciti di aneddoti e storielle piccanti sulla bellezza e sulle abitudini delle indigene, riuscivano facilmente a calamitare l’attenzione e la curiosità di noi europei.

Gli scritti di Vespucci sono innanzitutto due lettere, pressappoco della stessa lunghezza, intitolate rispettivamente Mondus Novus (indirizzata a Lorenzo di Piero dei Medici e datata 1503) e Quatuor Navigationes (indirizzata a Pier Sederini, altro importante politico fiorentino). 

Se l’America ha dunque questo nome è proprio per la bravura letteraria di Vespucci che nei in questi scritti ha saputo trasfondere tutta la sua passione per l’avventura e per l’esotico, facendo nascere una vera e propria moda.


Intendiamoci. Non voglio dire che a Colombo mancasse il gusto dell’avventura. Tutt’altro. Se c’è viaggiatore curioso che gode delle proprie esplorazioni, pago della bellezza che la natura gli offre in ogni panorama, in ogni insenatura più remota, bellezza che è già ricompensa alle sue fatiche, questi è proprio Colombo.

Ma l’interesse di Colombo, almeno da quel che traspare nelle sue lettere e nei suoi diari,  a parte le questioni economiche cui si è già accennato, batte per questioni che nell’opinione pubblica stavano diventando anacronistiche, come quando spera che con le ricchezze americane si potrà finanziare una nuova Crociata per liberare definitivamente il Santo Sepolcro.

 Scrive Colombo nel diario del suo primo viaggio: “(l’oro delle Indie) sarà in tal quantità che i re possano prima di tre anni preparare e attuare l’impresa di conquista dei luoghi santi. E’ stato così che ho manifestato alle Vostre Altezze il desiderio di vedere i proventi della mia presente impresa consacrati alla conquista di Gerusalemme; e le Vostre Altezze ne hanno riso…”.


Ma torniamo a Vespucci e chiediamoci: cosa scriveva di tanto interessante e intrigante per i lettori europei? 

Le sue descrizioni degli indigeni correvano lungo tre direttrici: il cannibalismo, il mito del buon selvaggio e le abitudini sessuali.

Quando parlavo di Vespucci giornalista mi riferivo proprio a quella regola non scritta, ma fondamentale per la tiratura di un giornale, per cui è fondamentale che il giornalista si sintonizzi con gli umori e i gusti dei suoi lettori. E da questo punto di vista Vespucci è un maestro: nei suoi resoconti si rivela inarrivabile nell’arte di tener desta, fino ai dettagli più pruriginosi, l’attenzione del lettore.

Un ottimo esempio è il seguente: dopo avere intrattenuto i lettori europei sulla lussuria delle “selvagge” e sulla loro crudeltà verso i mariti indigeni, soffermandosi sul dettaglio che esse fanno loro mordere il pene da bestie velenose, che pertanto prima ingrossa a dismisura e poi scoppia (con il marito che diventa eunuco!), Vespucci passa a gratificare il lettore europeo ( e a rassicurarlo!), informandolo del pieno successo che i viaggiatori europei hanno con le indigene ai quali non viene riservato lo stesso trattamento!


Certo, detta così Vespucci potrebbe sembrare più che un maestro dell’arte giornalistica un divulgatore di gossip ed altri pettegolezzi a sfondo erotico, proprio quel genere di giornalismo da cui oggi cerchiamo invano di difenderci. 

Ma se anche non mancano in Vespucci talune esagerazioni, certo è che in lui c’è un’attenzione inusuale per i suoi lettori, un amor di chiarezza che lo porta a fare dei brevi riassunti che facilitino la comprensione dei suoi scritti.

Anche riguardo al cannibalismo Vespucci racconta di aver intervistato indigeni che gli hanno riferito di aver mangiato carni di mogli e figli e di aver visto con i suoi occhi carne umana salata appesa alle travi, come da noi si fa con la carne di maiale.


Quanto al mito del buon selvaggio Vespucci l’ha dipinto così bene che poi da lui hanno attinto a piene mani filosofi, letterati, poeti e artisti per secoli, se ancora Voltaire e Montaisquieu sentono di doverlo riportare nel secolo dei Lumi. 

Scrive Vespucci: “(presso gli indigeni) non sussiste alcun patrimonio; tutti i beni sono comuni a tutti. Vivono senza né re, né governante, e ognuno è padrone di sé stesso. Hanno tante mogli quante vogliono, e il figlio vive con la madre, il fratello con la sorella, il cugino con la cugina, e ogni uomo con la prima venuta. Rompono i loro matrimoni sempre che vogliono, e non osservano in proposito nessuna legge. Non hanno né templi, né religione, e non sono idolatri. Cosa posso aggiungere? Vivono secondo natura”.


E così nacque l’ “America”, proprio come “Americo” Vespucci aveva firmato il suo “Mondus novus”, e come i dotti di Saint Diè, nel 1507, dopo aver confrontato le sue corrispondenze con quelle di Cristoforo Colombo, per primi decisero, morto ormai quest’ultimo, di battezzare il nuovo continente.