Autore: Stefano Ceccatelli
Ringrazio l' Associazione "Essere" di Calenzano
per aver contribuito a rimettere a fuoco un tema che, purtroppo,
solo le stragi portano alla ribalta dei mass-media.
Mi riferisco al tema della criminalità organizzata,
piaga storica del nostro meridione.
E' una piaga endemica alla quale siamo talmente assuefatti
da non suscitare ormai nemmeno quello sdegno che pure sarebbe
necessario. O forse prevalgono ormai l'apatia e il disgusto per
questo problema.
A mancare (ma è una cronica mancanza del nostro paese)
è soprattutto il necessario approfondimento sociale e politico
riguardo a un tema di importanza così cruciale per l'intera
penisola.
Le rarissime volte in cui la televisione italiana prova ad alzare
il velo sul fenomeno della criminalità organizzata (l'ultima
trasmissione ad averci recentemente provato è stata "Report",
su Rai 3) c'è subito chi grida allo scandalo e si erge
a difensore del meridione oltraggiato, pretendendo contro-trasmissioni
riparatorie, nelle quali si cerca di dimostrare che la piaga in
questione semplicemente non esiste.
Bene ha fatto pertanto l'Associazione "Essere" ad aver
organizzato, alcuni giorni fa, una serata pubblica che recava
come titolo: "Legalità, giustizia e bene comune"
e che ha visto la partecipazione di esperti del tema, nonché
l'importante contributo del Vescovo di Prato.
La Sala dell'Altana del Castello di Calenzano, che ospitava l'evento,
era completamente gremita.
Cuore pulsante di tale serata è stata la testimonianza
di due cittadini del nostro meridione, esponenti di una Associazione
Onlus denominata Ezechiele 37. (1)
Questa associazione esprime accoglienza, cura e solidarietà
alle persone che sono vittime della criminalità e delle
disfunzioni delle Istituzioni.
Tali persone, una settantina in tutto, sono degli esemplari cittadini
dell'Italia meridionale, vittime della criminalità per
aver deciso di non sottostare, nel loro lavoro, all'odiosa estorsione
del "pizzo" oppure per avere testimoniato contro la
criminalità organizzata nei processi.
Tali cittadini non sono assolutamente da confondersi
con i comuni "pentiti", trattandosi
infatti di gente onesta che non ha mai cessato di praticare la
legalità.
Eppure, dalle testimonianze ascoltate l'altra sera a Calenzano,
saliva alto il grido di dolore di questi cittadini, che si sentono
a ragione doppiamente vittime: della criminalità organizzata,
che li ha bollati come "infami" (traditori) e li
tiene sotto costante minaccia insieme alle loro famiglie;
e dello Stato
(!), che li ha abbandonati a se stessi, umiliandoli,
costringendoli ad un sostanziale esilio nelle regioni del Nord-Italia,
rendendoli socialmente insignificanti e privandoli perfino del
diritto di voto. Infatti, avendo questi cittadini, per ragioni
di sicurezza, dovuto cambiare nome, ora non figurano più
in nessun registro anagrafico e non possono pertanto presentarsi
alle consultazioni elettorali.
Uno dei due cittadini, un imprenditore edile, sottolineava
il problema della scorta. Era questo problema che gli vietava
di rimanere nella sua regione, a contatto con la sua gente.
Raccontava che, se gli avessero concesso una scorta degna di questo
nome, sarebbe rimasto anche nel suo amato Sud. La scorta che gli
era stata concessa, invece, consisteva nel semplice piantonamento
della sua abitazione. Ma se solo usciva di casa, lo faceva a suo
rischio e pericolo. Aveva scritto a tutte le persone con incarichi
di responsabilità, anche a Roma, affinché gli potessero
concedere una scorta più consistente. Ma la risposta era
stata che l'erario non poteva tollerare un aggravio di spesa.
Aveva allora dovuto abbandonare la sua terra e il suo lavoro per
andarsene a stare in una regione del Nord. Ma nemmeno lì
lo Stato riesce a garantire l'incolumità sua e dei suoi
familiari.
Molto toccante anche la testimonianza dell'altro cittadino,
quando ha detto che tutti i ragazzini che vivono in queste terre
sentono l'attrazione per la criminalità organizzata: solo
se entri a farne parte "sei qualcuno"! Per lui era
stata decisiva la profonda amicizia che da tempo lo legava a Don
Pino Puglisi, "il più luminoso rappresentante della
battagliera tradizione dei parroci antimafia" (2), ucciso
sull'uscio di casa il 15 settembre 1993.
Ma il cristianesimo autentico testimoniato a prezzo della
vita da Don Puglisi avrebbe avuto un costo anche per il nostro
"testimone di giustizia", che ora sta pagando con le
disavventure prima menzionate il suo aver raccontato allo Stato
italiano quel che sapeva sull'omicidio di Don Puglisi.
Tali testimonianze, oltre ad avermi profondamente commosso, mi
hanno spinto ad approfondire questo difficile tema della legalità
nelle regioni del Sud della penisola.
(1) Il riferimento è alla speranza espressa nel capitolo
37 del libro del Profeta Ezechiele.
(2) John Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Laterza,
2005, p.440. Consiglio a tutti questo libro, che si legge come
un thriller ed appare molto ben documentato.