L'altro mi guarda e mi riguarda

 

 

Autore: Stefano Ceccatelli

 

In un recente convegno scientifico tenutosi a Verona, che ha visto la partecipazione di circa 550 persone, quasi tutte molto giovani, si è discusso a lungo sul tema dell' "altro", colui con il quale mi rapporto, che, come diceva il titolo del convegno, "mi guarda e mi riguarda". Filosofi, sociologi, economisti di varie università italiane e straniere hanno radiografato impietosamente la nostra società liberale, fondata sulla ben nota massima kantiana "la mia libertà finisce dove comincia quella dell'altro"; ma si sono poi chiesti che fine faccia la solidarietà in una siffatta concezione. Non a caso la nostra società è stata definita da autorevoli voci come una società di eterni adolescenti, che non riescono mai a superare lo stadio dell'egocentrismo per divenire adulti. In effetti, come ha rilevato il sociologo francese Pierre Moscovici, "nella nostra società occidentale, fondata sul primato dell'interesse e dell'individuo, il rischio non è che la gente sia troppo egoista, ma che non sia altruista a sufficienza".
Fin qui la diagnosi. Ma cosa, concretamente, si può fare? Si tratta (facile a dirsi!) di dare alla luce noi stessi; e noi possiamo trovare noi stessi, e perciò divenire uomini nuovi, solo con gli altri. Diviene veramente adulto - sono parole del grande filosofo lituano di origine ebraica Emmanuel Levinas, morto nel 1990 ­ solo colui che ha imparato ad onorare il "volto dell'altro", il volto di colui che mi sfiora nell'attimo presente.
C'è una parola oggi che definisce anzitutto l'uomo adulto: tale parola è responsabilità. Victor Frankl, lo psichiatra austriaco perseguitato dai nazisti per la sua origine ebraica, ha affermato che, accanto alla statua della libertà, sarebbe necessario, ai nostri giorni, costruire la statua della responsabilità. Ed il grande filosofo francese Ricoeur diceva che è giunta l'ora di "assumersi la responsabilità di colui che è fragile". E' l'altro che mi fa responsabile, e quindi la mia responsabilità finisce solo quando l'altro smette di domandarmela.
Solo così si esce dall'individualismo imperante e ci riscopriamo persone, cioè fondamentalmente esseri umani in rapporto gli uni con gli altri.
In sostanza siamo chiamati ad un nuovo umanesimo, che dia vita ad un'interiorità dilatata nella dimensione dell'io con altri. Vale a dire che la responsabilità nei confronti degli altri è la via che l'interiorità chiede a ciascuno di percorrere per salvare anzitutto se stesso. La stessa globalizzazione, con l'annessa new economy, non potrà avere un futuro se non di responsabilità.
Queste considerazioni di ordine filosofico possono apparentemente sembrare lontane dalla concretezza che giustamente si richiede ad una rivista a carattere scientifico. In realtà a me sembra che tali considerazioni siano fondamentali. Anche la scienza, infatti, è tanto più necessaria quanto più e meglio impara ad essere responsabile nei confronti delle emergenze che ancora affliggono l'umanità e ad essere perciò, per dirla con Zichichi, "nemica delle bombe, dell'inquinamento e della fame nel mondo".