da "Carta Etc" mensile, anno 1, numero 1, del 1 luglio 2005

Numero tematico dedicato alla città e neoliberismo

UN PRODOTTO CHE SI VENDE SEMPRE BENE. ECCO FIRENZE
di Ornella De Zordo
consigliera comunale di Unaltracittà/unaltromondo

LoScrittoio.it ringrazia Ornella de Zordo e la Redazione di "Carta Etc" per l'amichevole concessione a pubblicare questa importante intervento.

 


Oggi Firenze assiste alla messa in vendita del suo corpo, della sua storia e cultura, consapevole che deve la propria mercificazione, e dunque la propria insostenibilità sociale e ambientale, al motivo stesso della sua celebrità. Si pensi al caso emblematico della Fortezza: per ampliare il giro di affari e attrarre espositori da tutto il mondo si è insistito a voler collocare la zona fieristica dentro la cinquecentesca Fortezza da Basso che è a pochi minuti a piedi dal centro storico, contro ogni razionalità e tutela sia del monumento che della vita di un'area ambientalmente già penalizzata. 
Come si può amministrare un luogo così carico di storia e di cultura? Come connettere chi quello spazio abita e vive con il flusso perenne di chi vi transita? Come deve essere Firenze al futuro? Molto dipende da quale idea di futuro si ha: se si segue un'idea ormai vecchia, ma non certo superata, che concepisce lo sviluppo come crescita inarrestabile, si penserà che il futuro deve coincidere con grandi snodi su cui convogliare una mobilità sempre più invadente, grandi opere destinate al sistema-Moda, centri commerciali, strutture ricettive. E infatti il modello che sottende gli indirizzi della Firenze degli ultimi anni, e ancora sembra governarne le trasformazioni, è proprio questo, e si diano pace i fiorentini di vecchia o nuova data, che infatti se ne vanno (quasi 100.000 abitanti in meno negli ultimi 10 anni) da una città sempre più cara, sempre meno alla loro portata, sempre più disegnata sulle esigenze di chi cultura e moda deve vendere e comprare.
Partiamo pure dal centro storico, che da animato luogo di vita sociale di una comunità, magari cosmopolita, ma pur sempre comunità, si è trasformato in quell'ibrido tipico delle realtà urbane di un Nord ricco e neoliberista: un insieme di luoghi di rappresentanza che si alternano a spazi ricettivi e a enclaves commerciali di alto livello. E Firenze non deve neppure fare troppi sforzi per riempire le sue strade e piazze di un flusso ininterotto di turisti/clienti perché negozi, alberghi, ristoranti e bar tra i più cari del mondo si alternano ad alcuni dei monumenti più famosi del mondo. Il prodotto-Firenze si vende comunque. Solo chi è coinvolto con il commercio e con il turismo resiste, e anche tra questi molti sono scalzati da più grandi investitori. Non limitiamoci a gridare allo scandalo perché al posto di una antica libreria come Seeber si è installato MaxMara o nei locali del tradizionale Caffé Giacosa si spalancano le vetrine zebrate di Roberto Cavalli; diciamo anche che (E intanto) ogni forma di piccolo commercio locale viene progressivamente sostituita da inarrivabili griffes e da quel circuito di fruizione globalizzata che si articola in uffici di cambio e franchising. Né, come si sa, questo modello di sviluppo garantisce l'occupazione, anzi la rende ancor più precaria offrendo ai giovani lavori occasionali legati alla stagionalità dei servizi e alla fluttuazione delle proprietà che capitalizzano storia e cultura.

Lo spazio vuoto del centro

Il centro della città è diventato uno spazio socialmente vuoto, il trionfo dell'economia turistica globale. Così chiudono i tradizionali cinema, sostituiti da multisale periferiche come Warner Village e Vis Pathé, spariscono le librerie che non si siano convertite in supermercati del libro e si cancellano le tracce delle varie forme di una vita di aggregazione sociale. Anche il suolo è privatizzato, dato in gestione a Firenzeparcheggi, una s.p.a. che non cura solo la sosta, ma fornisce attraverso le multe una delle più interessanti voci del bilancio comunale: il traffico privato con le sue violazioni rappresenta una rendita su cui l'amministrazione sa di poter contare. E inutilmente i fiorentini si domandano se davvero l'unico modo di regolamentare il traffico sia quello di far pagare sempre di più il suolo pubblico.
"Pubblico" lo spazio del centro di Firenze non è più anche in altri modi, sia perché letteralmente privatizzato in piazze e strade occupate da tavolini e sedie dove solo pagando si può sostare (e non si cerchino panchine o fontane per una pausa che esca dagli itinerari del consumo), sia perché la città tutta è consumata attraverso dinamiche di una transitorietà sempre più breve.

I fiorentini se ne vanno

E i residenti? Quelli che resistono nei quartieri tradizionali come l'Oltrarno o Santa Croce combattono con il caro-vita e disagi di vario genere (e infatti si sono sviluppate nuove forme di cittadinanza attiva che fanno pressione sull'amministrazione e propongono soluzioni alternative ai problemi del traffico, dell'inquinamento, del rumore), ma in molte zone sono stati già in parte sostituiti a causa delle ristrutturazioni di interi blocchi acquistati da grandi immobiliari. E' la casa uno dei problemi più gravi. Il mattone, si sa, tira ovunque e il costo degli immobili è un problema nazionale, ma appunto per questo un'attenzione particolare andrebbe prestata: qui c'è un bisogno di case popolari testimoniato da 4200 famiglie in lista d'attesa e 7000 sfratti esecutivi previsti nei prossimi 3 anni. Eppure, secondo i dati dell'Unione Inquilini, sui 2900 nuovi alloggi in costruzione nel territorio fiorentino solo 184, cioè meno dell'8%, saranno case popolari. L'emergenza non viene affrontata nelle sue dimensioni reali: al massimo si pensa ad affitti calmierati (che significa più bassi del 20% rispetto ai folli prezzi di mercato) e le case che si costruiscono rispondono più che altro a esigenze speculative.
Come ovunque, lo smantellamento di enti pubblici e stabilimenti industriali ha prodotto aree dismesse anche fuori dalla zona centrale, ma in troppi casi non si sono trovate soluzioni rispondenti ai bisogni della collettività: dall'uso della stazione Leopolda, uno spazio elitario che per 11 mesi l'anno è in mano al sistema Pitti Moda, alla fabbrica Longinotti convertita nell'ennesimo contestatissimo centro commerciale, al cinema-teatro Apollo, il più grande dei locali abbandonati la cui facciata d'epoca proteggerà un insieme di appartamenti di lusso e un centro commerciale, all'ex manicomio di San Salvi, il cui magnifico parco, malgrado le proteste del Comitato Sansalvichipuò, verrà snaturato dagli uffici della ASL e alloggi privati, alla Manifattura Tabacchi il cui ancora incerto destino non lascia intravedere spiragli per l'uso culturale e sociale che era stato proposto.
Vogliamo parlare di quello che si è deciso di costruire ex novo? Vediamo allora l'operazione urbanistica più rilevante degli ultimi anni: Castello, un'area al confine con il comune di Sesto fiorentino, limitrofa all'aeroporto, acquistata a suo tempo da SAI-Fondiaria e oggi definita dalla proprietà "l'affare più interessante" sul territorio nazionale. Un milione e trecentomila metri cubi di cemento con 1500 appartamenti (di cui solo 158 ERP) e annesse una serie di funzioni miste che trasformeranno l'area in una tardiva imitazione di "Milano 2". A quali bisogni risponde questa operazione? Perché da molti è definita una scelta ambientale, urbanistica e politica sbagliata? E' semplice. Perché sul piano ambientale va a costruire massicciamente nell'unico corridoio ecologico rimasto tra le colline e l'Arno. Perché non c'è affatto richiesta di tanti immobili di livello medio-alto. Perché il Comune ha firmato una convenzione con la proprietà (che questa sia incarnata nella persona di Salvatore Ligresti illumina l'operazione di una luce sinistra) dalla quale non ricava altro che i puri e semplici oneri di urbanizzazione dovuti. Come a dire, il guadagno sarà in tutto e per tutto del privato e non della collettività. E poi: chi ci andrà, a occupare i nuovi edifici adibiti a spazi non abitativi? Gli uffici della Provincia, si dice, o forse della Regione, che non hanno affatto l'urgenza di dover cambiare sede, ma così garantiranno al pregiudicato Ligresti di non aver investito a vuoto.

Sette chilometri di tunnel

In una città che Legambiente colloca al 71° posto per qualità dell'ambiente urbano e al 64° per inquinamento da MP10 e dove il problema del traffico non è mai stato affrontato seriamente, si è ora dato il via, con anni di ritardo, ai lavori per la costruzione del primo tratto della tramvia. Opera meritoria, perché va nella direzione virtuosa di sostituire il trasposrto pubblico su rotaia a quello privato (anche se si è scelto di far passare il tracciato attraverso il parco delle Cascine con conseguente cementificazione delle rive dell'Arno). Ma se il trasposto pubblico va incentivato, come l'amministrazione continua a ripetere, perché si sceglie di andare esattamente nella direzione opposta con il più grande progetto viario dell'area fiorentina, il famigerato "tubone"? Si tratta di una circonvallazione di circa 7 km, per buona parte interrati, che dall'uscita autostradale di Firenze sud dovrebbe sbucare a Castello forando le colline di Fiesole e Settignano.

Chi semina strade, reccoglie traffico

Avversato da ambientalisti, comitati, forze politiche di sinistra, corrisponde a quelle grandi opere che piacciono tanto al ministro Lunardi, e che oltre a smuovere cifre da capogiro e risultare devastanti sul piano ambientale, sono inefficaci: come ci dice la più avanzata letteratura in materia, in molti casi le grandi strade di scorrimento non servono a "snellire" il traffico semplicemente perché, al contrario, lo fanno aumentare. Ma tener conto di queste analisi significherebbe seguire un'altra idea di sviluppo che prevede la riduzione dei consumi energetici nel rispetto di un equilibrio ambientale e sociale, un'idea sostenuta di recente da quella sinistra solidale che ha inaspettatamente mandato al ballottaggio il candidato del centrosinistra.
Infatti la città ha reagito ai suoi tanti problemi non solo con la critica e lo scontento per cui sono famosi i fiorentini, ma anche con la vivacità di soggetti nuovi che praticano forme diverse di riappropriazione dello spazio urbano, parti di una città antagonista che resiste alle regole dominanti, propone modi diversi di convivenza, attiva forme di conflitto sociale e culturale. Oltre alla ricchissima esperienza del Social Forum fiorentino, penso al Movimento di lotta per la casa che nasce nel 1990 sull'onda dell'incapacità delle varie amministrazioni di rispondere al bisogno abitativo, oggi più che mai punto di riferimento cittadino per sfrattati, senza casa, immigrati, e promotore della recente "Rete cittadina antisfratti" a cui partecipano molti altri soggetti sociali e politici. Penso ai Centri sociali autogestiti, luoghi di resistenza alle politiche consolidate, spazi di elaborazione culturale e di creatività, che hanno dato una risposta ai bisogni sempre più frustati di aggregazione sociale. Oggi sono attivi il Centro popolare Firenze-sud, nato nel 1989 con l'occupazione dell'ex-Longinotti, sgomberato nel 2001 per la costruzione dell'ennesimo centro commerciale Coop, e rinato dopo qualche giorno nei locali di una scuola in disuso in via Villamagna; L'Ex-Emerson, nato nello stesso anno nel quartiere di Novoli nella fabbrica abbandonata e riaperto, dopo lo sgombero del 1993, in un ex- calzaturificio dismesso nella zona di Careggi; e il Network, un soggetto di resistenza nato alla fine del 2000 con progetti di musica, teatro, fotografia, informatica e molto altro che oggi, all'interno dell'area dismessa Elettro+, vive precariamente negli spazi messi a disposizione dal Quartiere 4. A queste pratiche di resistenza alle trasformazioni dominanti della città, ai tanti comitati che propongono soluzioni ambientali alternative, alle reti di movimenti, associazioni e soggetti politici che si battono per spazi di vera accoglienza e equità sociale, alle comunità di base come quella delle Piagge di Alessandro Santoro, è affidata la possibilità che Firenze si sottragga almeno in parte ai circuiti dell'imperativo neoliberista per una modernità al cui centro sia posta la persona e non il profitto.