Con questo articolo inizia una gradita collaborazione Giorgio Turi, fiorentino, esperto del campo archeologico. LoScrittoio.it dà il benvenuto al nuovo collaboratore augurandogli buon lavoro e buona collaborazione con l'intera comunità della Rivista.
Precede l'articolo una breve autopresentazione di Giorgio Turi.
Architetto dal 1957: da allora ho sempre lavorato sul nuovo
e sull'antico. Ho insegnato anche disegno tecnico ai giovani.
Nel 1977 ho cominciato a disegnare pezzi archeologici, provenienti
da varie campagne di scavo fatte in Italia e nel Vicino Oriente.
Nei viaggi nel Mediterraneo mi sono accorto di essere uno dei
cinquantasette milioni di italiani, pieni di tanta passione e
delle più varie esperienze. Ma anche molti dubbi sulle
certezze scientifiche ed il romanzesco che circonda il lavoro
archeologico.
Viene voglia di comunicare le proprie riflessioni. E "LoScrittoio.it"
sembra essere un buon veicolo per trasmettere i pensieri personali
ed aprirli al dibattito con gli altri.
Autore: Giorgio Turi
ARCHEOLOGIA: SCIENZA O FANTASIA?
L'Archeologia è la scienza che si occupa delle cose
antiche: porta alla luce gli oggetti rimasti nascosti, sepolti,
non utilizzati da tempo e gli studia fino a ritrovare un pezzo
di storia spesso sconosciuta.
Il fascino dell'Archeologia prende un po' tutti con le scoperte
impreviste e sensazionali, i misteri che si disvelano, i frammenti
materiali che da pressoché incomprensibili si possono comporre
a mosaico fino a portarli a forme leggibili.
Talvolta, purtroppo, il forte entusiasmo incontrollato può
diventare persino distruttivo, ancor più dei crolli ed
i seppellimenti dovuti all'abbandono secolare.
Anche l'esperto creduto il più preparato, l'archeologo
cioè, che dovrebbe essere lo scienziato, attento e scrupoloso
scavatore ed interprete dei reperti, se preso da ricerca spasmodica
nel sottosuolo (spinto da vanità di successo immediato
per la staqmpa, per un congresso o per ottenere un finanziamento
ad una futura campagna di scavo) può trasformare la sua
attività in falsificazione e distruzione della realtà
oggettiva.
Ma altre difficoltà si possono incontrare: quando, invece
di una statua, un vaso, una parete architettonica intera o quasi,
l'inesperto e poco romantico osservatore si trova di fronte al
duro impatto di oggetti in frammenti o ruderi raso terra.
L'abile guida può talvolta incantare il pubblico con racconti
romanzeschi e ricostruire un realtà inesistente.
Ma si può giungere anche ad una ricostruzione didattica
per spiegare ai non esperti che funzione avevano, a cosa servivano
quel gruppo di pezzetti appartenenti ad un vaso, un affresco oppure
ad un edificio.
Il pubblico, gli operatori turistici e le autorità chiedono
pressantemente oggetti interi, sia originali completi, che totalmente
ricostruiti.
Sorge allora il dilemma: l'attività archeologica deve
essere scientifica, oppure fantastica? Il dilemma viene spesso
allegramente superato, finanze permettendo, con l'ultima scelta.
Si può cominciare con ricostruzioni grafiche, disegni
di forme, ricavate a livello artigianale oppure con l'aiuto del
computer, ottenendo anche prospettive ricreanti realtà
oggettive.
Ricostruzione di oggetti mobili.
Seguendo un criterio scientifico i vari frammenti vanno uniti
solo quando l'attacco tra loro è certo, cioè combaciante.
Purtroppo anche nei musei si trovano esempi di oggetti archeologici
composti da pochi frammenti, spesso minuscoli e sparsi qua e là:
il tutto completamente ricostruito nelle parti mancanti, senza
alcun criterio (differenziazione visiva, simmetria o altro), talvolta
ridecorato con rilievi e colore.
Ma la realtà qual era? Permane il dubbio, o meglio, vi
è la certezza che ciò che vediamo è molto
distante dalla verità: abbiamo di fronte un oggetto falso,
ricostruito con alcuni reperti veri, magari appartenenti ad oggetti
diversi.
Sarebbe stato più semplice, oltre che più sicuro,
esporre reperti significativi, anche frammentati, da soli. E,
nel caso che questi siano oltre la metà di un pezzo simmetrico,
costruire solo un vago accenno di completamento (un filo metallico,
un pezzo di plastica trasparente, un disegno).
Ricostruzione di un edificio e di un'intera città.
Troviamo in molti Paesi del mondo monumenti ed anche interi
pezzi di città ricostruiti a fini didattici e turistici
con l'aiuto di notevoli sovvenzioni finanziarie.
Quante ricostruzioni avventate, seppure talvolta affascinanti.
E non solo rappresentate da disegni a due o tre dimensioni; bensì
concretamente edificate con mattoni, pietre, malta, cemento armato
e complete rifiniture con intonaci colorati.
Troviamo ricostruiti templi interi con pochi pezzi di colonna,
inventandone l'altezza, nonché tetti interi che spiovono
a pendenze immaginarie.
Ai primi del Novecento ci si pone la questione di individuare
la casa di Dante nel centro storico di Firenze. La cosa viene
risolta semplicemente: si abbattono delle case fino a ricavare
una piazzetta, viene sistemato un edificio con pietre "medievali"
ed ecco il desiderio diventare realtà. Questo falso attira
tutt'oggi molta gente che appare soddisfatta della risposta concreta
data all'enigma.
L'ultima guerra mondiale ha distrutto numerosi monumenti e
perfino intere città.
Il ponte a Santa Trinita di Firenze, minato e distrutto nel 1944,
con pochi reperti originali, coll'aiuto della fotogrammetria ed
il riuso di vecchie cave di pietra forte è stato completamente
ricostruito. Il ponte ha oggi cinquntasei anni invece di cinquecento,
ma la ferita grave è rimarginata e la bella immagine è
concreta, sentita come necessaria ed accettabile.
Un altro esempio clamoroso. L'intero centro di Varsavia, completamente
distrutto e ridotto ad una serie di ruderi incomprensibili, tramite
l'aiuto delle mappe catastali, le fotografie prebelliche ed i
disegni del Bellotto, è stato anch'esso interamente ricostruito.
E la Polonia ha ritrovato così l'identità nazionale
nell'immagini materiali, necessarie e pressochè identiche,
della sua antica capitale.
Ma, andando verso epoche più lontane e civiltà di
grande risonanza mondiale, troviamo ancora altri esempi.
A Cnosso nella prima metà del Novecento, l'archeologo Evans
in poche decine d'anni, partendo da tanti ruderi molto estesi
ma pressochè illeggibili, con molta ricchezza fantastica
di forme e di colori, ha ricostruito un intero enorme palazzo,
dotato di sale, porticati e scaloni che portano molti all'entusiasmo.
Ma rimangono pochissime le certezze sulla realtà del passato
cretese.
A Saalburg, vicino a Francoforte sul Meno, è stato inventato
pressochè dal nulla un intero castrum romano, costruendo
mura, porte ed edifici interi. L'effetto è strabiliante!
Babilonia scavata nell'Ottocento e spogliata di numerose testimonianze
arcgeologiche, ridotta ad un' enorme distesa di ruderi, dilavati
dagli agenti atmosferici, è stata, con massicce ricostruzioni,
resa più "interessante". Le grandi memorie del
passato, da tristi e romantici ruderi informi, sono diventate
"chiaramente" visibili ed imponenti ed aiutano, come
sempre, a far capire!
In conclusione nel lavoro dell'archeologo è preferibile
lasciare i reperti del passato così come ritrovati con
lo scavo (raramente completi e leggibili: più spesso invece
incomprensibili da parte dei non addetti ai lavori)?
Oppure è utile lavorare ancora per spiegare di più
e meglio ai non esperti: vivacizzare le "cose" e far
"parlare" i reperti stessi con stimolanti ipotesi ricostruttive
grafiche?
Oppure andare ancora oltre e ricostruire materialmente, magari
inventando forme, dimensioni e colori, sollecitando così
visite molto più divertenti a monumenti e musei?
Due sono i metodi, le opposte scuole di lavoro, raramente integrate.
Ma due è anche la radice etimologica del dubbio!
Ma, se certezze non è facile trovarne, sarebbe bene evitare
decisione radicali e perentorie, le invenzioni materiali che in
campo archeologico sono spesso distruttive perché irreversibili.
Nella storia plurisecolare dell'archeologia si è riscontrato
ormai ampiamente che diagnosi oculate e terapie delicate sono,
anche didatticamente, le più produttive.