L'articolo che segue è stato pubblicato su IL FOGLIO QUOTIDIANO (consultabile anche in rete all'indirizzo: http://www.ilfoglio.it ) il giorno 7/3/2001. Ritenendolo estremamente stimolante anche per la situazione italiana, abbiamo chiesto alla Direzione del suddetto quotidiano il permesso di pubblicarlo, permesso che ci è prontamente giunto.
La questione delle 35 ore è stata posta anche in Italia con un netto scetticismo da parte di numerose parti sociali ed esperti. Come in Francia, del resto. A distanza di un anno il bilancio dei nostri vicini pare tutt'altro che in linea con le fosche previsioni. Ci auguriamo che questa esperienza serva ad una diversa riflessione anche qui in Italia, dove, al solito, pare ci sia la necessità di usare esperienze estere prima di fare qualcosa.
E' per contribuire a questa diversa riflessione che abbiamo chiesto di poter pubblicare l'articolo.

Ringraziamo IL FOGLIO QUOTIDIANO per la cortese ed amichevole autorizzazione concessa.

 

LoScrittoio.it

 

 

La Francia adora le 35 ore

Si lavora 4 giorni e poi è Wep-mania. Guai a chi tocca il fine
settimana prolungato. Tutti se ne infischiano dei primi bilanci
controversi. Il boom di prenotazioni turistiche. Un problema per le
imprese piccole. Una cosa "molto di sinistra" fatta da Martine Aubry.


Altro che web e sbronze da reti virtuali
e planetarie. Per almeno un paio di milioni
di francesi la parola magica del presente,
che lascia intravvedere un futuro addirittura
radioso, è wep: ovvero "week end
prolungato". Dal primo gennaio 2000 da
quando cioè sono entrate in vigore le leggi
che portano il nome dell'ex ministro del Lavoro
Martine Aubry e che obbligano le imprese
a scadenze differenti a ridurre il tempo
di lavoro (RTT) da 39 a 35 ore la settimana,
non si sono mai visti per strada tanti abbronzati
in pieno inverno. E può accadere
per esempio che persino un'impresa della
new-economy ci metta un mese a organizzare
una riunione fra i suoi quadri dirigenti
sparsi tra Parigi e Marsiglia. Non c'è lavoratore
dipendente, quadro dirigente che non
abbia preso carta e penna, i più "branchés"
matita elettronica e palmare, e non abbia
compilato il suo planning annuale di wep effettuando
con largo anticipo il suo bravo corredo
di prenotazioni. Un calendario tutto in
destrezza che sfrutta al meglio le festività del
Signore, le settimane di ferie per così dire
normali diventate cinque dal primo settennato
di François Mitterrand e ora questi 22
giorni lavorativi supplementari da recuperare
ogni anno, "o baba dell'Aubry". E si vola
così in massa verso destinazioni esotiche
e verso le principali città d'Europa. Tre giorni-
due notti la formula che va per la maggiore.
Le mete, Marrakech, Malta, Djerba, il Cairo
a-portare-al-mare-le-chiappe-chiare. Londra
per-i-saldi-che-fanno-chic, Amsterdam
per la mostra-che-se-te-la-perdi-non-sei-nes-suno,
Berlino, Bruxelles, Bruges che-fanno-tendenza,
Roma,Venezia, Firenze, Barcellona,
Siviglia il-classico-che-si-porta-sempre. E
poi Praga, Budapest, Mosca, San Pietroburgo:
nulla di tutto ciò che è a meno di quattro
ore di volo viene risparmiato dal vorace wep-master.
Senza contare i numerosi forzati pronti a
farsi un'endovena Parigi-Pechino con pernottamento
di tre notti tra città proibite e
grandi muraglie, per soli tremila franchi, meno
di un milione di lire, tutto compreso. I tour
operator sono sommersi di richieste e non
sanno più cosa inventare. I prezzi ovviamente
sono in caduta libera. Le agenzie di viaggio
fanno proposte ancora più allettanti se prese
in martingala, come le scommesse sui cavalli.
Un must il pacchetto con dentro Pasqua,
Primo maggio, Ascensione e Pentecoste.

"Non abbiamo capito un tubo"

La vacanza lunga, continua e per lo più sedentaria
dei padri, la villeggiatura, appartiene
al passato. Il presente, il futuro sono il
mordi e fuggi di chi non ci tiene particolarmente
a conoscere per davvero i luoghi che
visita e forse nemmeno vuole riposarsi. L'essenziale
è nella rottura del ritmo, nell'andare
e tornare. Così va il mondo, dalla storica
solennità delle prime "ferie pagate" al consumo
nevrotico e onnivoro di un tempo liberato
che forse nessuno ha veramente rivendicato.
"Dobbiamo fare mea culpa per non averci
capito un tubo e riconoscere che la Aubry ha
giocato la partita alla grande" dice un direttore
delle Risorse umane di un'impresa del-
la grande distribuzione, che con le organizzazioni
politiche degli imprenditori, il Cnpf
prima e il Medef dopo, ha cercato di opporsi
alla RTT, la Réduction du temps de travail.
In verità il gioco politico classico tra la destra
e la sinistra c'entra molto poco. C'entrano
semmai la cecità delle varie corporazioni
padronali ma anche sindacali e non da ultime
quelle dei cosiddetti esperti. E' Gilles de
Robien, ministro liberale del governo Juppé,
a introdurre a metà degli anni Novanta le
prime forme di flessibilità apportando la sua
cauzione alle prime timide aperture in materia
d'orario. Lo fa malgrado e contro gli imprenditori,
che poi insorgeranno quando la
socialista Aubry deciderà di fare il gran colpo
della legge. Anche gli economisti di tutte
le scuole farfugliano. I liberali criticano
apertamente, neo-keynesiani e socialisti lo
fanno in privato. Tutti d'accordo comunque
a considerare un'emerita sciocchezza le 35
ore. Imprenditori, economisti e opinionisti
sulla stampa commettono tutti lo stesso errore
esponendo argomenti puramente economici.
Nessuno pensa all'uovo di Colombo:
che lavorare solo quattro giorni alla settimana
e averne tre liberi avrebbe finito per cambiato
la vita quotidiana, le abitudini, la cultura
stessa di tutto un paese.
Così a un anno dall'entrata in vigore della
legge, tutti sembrano infischiarsene dei giudizi
ovviamente circospetti, dei primi bilanci
controversi, degli effetti reali sull'occupazione
e sulla riorganizzazione del lavoro che
la forte crescita dell'economia finora ha mascherato
e che forse non saranno rose e fiori.
A scorrere sondaggi e studi d'opinione,
per due francesi su tre le 35 ore hanno il carattere
sacro del diritto acquisito. Indietro
non si tornerà, dicono. Nemmeno per tempi
di crisi. E' dubbio che la stessa Aubry abbia
colto la portata esatta del fenomeno e deciso
consapevolmente di cavalcare la tigre. Anzi
è vero il contrario. "Lei voleva semplicemente
fare una cosa di sinistra. E cosa c'è di
più di sinistra che lo scontro frontale con il
padronato su un tema come la riduzione dell'orario
di lavoro?" spiega Henri Vacquin,
consulente di molte grandi imprese nonché
di "madame le ministre" all'epoca della stesura
della legge. Martine fu inconsapevole,
dunque. Ma ha ottenuto dal popolo di sinistra
un'apertura di credito illimitato. Per tutti
è ormai in via di beatificazione, sainte Martine,
il Léon Blum di questo secolo.
La pensano sicuramente così anche Pippo,
Pluto e Paperino: a EuroDisney entrate e fatturato
sono aumentati in modo sostanzioso
grazie ai residenti in provincia. Anche Asterix
e assimilati vanno alla grande. E tutti
aspettano che santa Martina arrivi anche negli
altri paesi europei. Sentiti ringraziamenti
anche dall'industria alberghiera. Qualche
catena, leader nella gamma intermedia, ha
cominciato addirittura a costruire alberghi
all'estero, soprattutto nei paesi dell'est, sul
modello di quanto già esiste in Francia. Proprio
come McDonald's che affidò la propria
fortuna al turismo di massa dei giovani americani.
Dicono che ci si senta meno spaesati,
più rassicurati se a Praga o a Budapest si ritrova
la stessa stanza "tre stelle" che in patria,
con l'interruttore della luce in alto a destra.

 

Gli studi delle compagnie turistiche

Secondo uno studio della compagnia turistico-
alberghiera Frantour, il fenomeno delle
vacanze corte ha cominciato ad affacciarsi
fin dal 1981, con il passaggio da 40 a 39 ore
e l'introduzione di una quinta settimana di
ferie pagate e con i primi treni ad alta velocità.
Ha conosciuto un'accelerazione con la
caduta del muro di Berlino per poi stagnare
all'inizio degli anni Novanta, malgrado la deregulation
del trasporto aereo. E' poi diminuito
prima di riesplodere dal 1997 in poi,
proprio con le prime applicazioni delle 35
ore, passando da 80 milioni a più di 120. La
curva sembra stabilmente rivolta verso l'alto,
con una progressione quasi esponenziale.
In un altro studio fatto da Touriscopie, osservatorio
statistico del turismo in regione
parigina, si prevedono infatti amplissimi
margini di crescita perché come è ovvio a beneficiare
di più in proporzione della riduzione
del tempo di lavoro è stata l'industria
del tempo libero di prossimità: cinema, librerie,
negozi di dischi, concerti, sale di ginnastica,
beauty farm. La maggioranza dei cinque
milioni di salariati già entrati nell'era
delle 35 ore preferisce per ora consacrare il
nuovo tempo libero al proprio benessere fisico
e psichico. E si attende sempre l'entrata
in pista del pubblico impiego, dove si comincia
solo ora a negoziare i contratti di settore.
C'è però già un rovescio della medaglia
che allarma non poco i sindacati. Il passaggio
alle 35 ore previsto per il 2002 per le migliaia
di piccole imprese con meno di venti
dipendenti non sarà né rose né fiori. Per
l'ovvia ragione che una cosa è ridurre l'orario
alla Renault, un'altra è farlo in un grande
garage o in un grande concessionario.
Accanto alle imprese in cui il tempo ridotto
è cumulabile e spendibile sull'anno, ci
saranno, com'è già il caso in alcune medie
imprese, le politiche le più disparate. Chi
ridurrà di un giorno o due al mese, chi di
mezza giornata a settimana. O peggio ancora
giorno per giorno, quella in cui si perde
ogni possibile beneficio. Molti contratti hanno
disatteso le attese, creando frustrazione.
Il lavoro dipendente è di fatto spaccato in
due grossi tronconi: da una parte chi vive
nei settori d'avvenire, nelle imprese più
performanti e configura l'aristocrazia di domani,
con il tempo di lavoro alla carta, la
massima elasticità tra lavoro e tempo libero,
la partecipazione, le stock option e i benefit
vari. Dall'altra, chi non ha nulla di tutto
questo.

 

Il tempo funge da stimolo

Non si lamentano in generale cali di produttività,
anzi. Il tempo libero funge per ora
da stimolo per compiere in quattro giorni
ciò che prima si faceva in cinque. Anche se
nei luoghi di lavoro si avverte una maggiore
pressione e c'è chi comincia a parlare di
stress. "La RTT doveva anche spingere a
cambiamenti dell'organizzazione del lavoro,
ma questo è accaduto solo in parte minima,
quindi è logico che il salariato si senta di
più sotto pressione" spiega Henri Vacquin.
Le 35 ore non sono affatto la leva miracolosa
in cui sperava forse parte della sinistra
per cambiare l'impresa e il lavoro. Valgono
invece per quello che rappresentano nella
loro immediatezza: tempo liberato, migliore
qualità della vita, più nomadismo, più grande
apertura sul mondo. C'è già qualche imprenditore
che pensa che si possa e si deb-ba
andare più lontano. Le 32 ore sono tutt'altro
che un miraggio e in qualche impresa di
punta contratti in tal senso sono già stati firmati.
Economisti di grido parlano di nuova
prossima era in cui il tempo di lavoro sarà
negoziato da ciascuno individualmente. Altri
ipotizzano che si lavori meno abolendo
anche il limite dell'età pensionistica. I sindacati
frenano e dicono la riduzione del
tempo di lavoro non è più all'ordine del
giorno. Elisabeth Guigou che ha preso il posto
della Aubry al ministero del Lavoro dice
che intende vigilare alla corretta applicazione
delle leggi esistenti. Quanto a Martine
Aubry, dimessasi dal governo per partecipare
alle elezioni comunali e diventare sindaco
di Lilla, si vede in riserva della Repubblica:
è quasi certo che in caso di vittoria
di Lionel Jospin alle presidenziali del
prossimo anno, sarà lei il nuovo primo ministro.
E forse con una legislatura completa
davanti a sé penserà pure di potere fare il
bis e passare appunto alle 32 ore, ciclo economico
permettendo. In ogni caso mai come
ora, "lavorare meno, lavorare tutti", l'utopia
d'antan sembra entrata nel senso comune.