Autore: Flavio Gori
Al di là degli aspetti morali connessi alle vicende
accennate nelle precedenti pagine, i Governi delle grandi potenze
economico-militari che, in ogni epoca, hanno voluto operare in
queste direzioni e quindi impegnarsi in una - se non più
di una - guerra che avrebbe ucciso molti dei suoi giovani) devono
trovare il modo di portare dalla propria parte la maggioranza
della sua popolazione, degli elettori. Purtroppo non è
stato necessario essere una grande potenza per decidere una guerra,
ma I sistemi usati per far si che il popolo fosse coinvolto (più
o meno consenziente) sono stati assai simili.
Si deve dunque trovare il modo di convincere la maggioranza delle
famiglie della propria Nazione che sarà accettabile che
i propri ragazzi vadano a rischiare di morire, di restare gravemente
feriti e forse subire lesioni irreversibili che cambieranno per
sempre la loro vita e quella dei propri cari per una causa che
il Governo, in senso lato, ha deciso.
Un'operazione apparentemente disperata: chi mai accetterà
simili rischi per azioni decise da altri?
Come la storia c'insegna, non è affatto un'impresa impossibile.
E' molto interessante riflettere sui metodi (per lo più
psicologici) usati per portare dalla propria parte coloro che
pagheranno in prima persona per le scelte di altri.
Nei giorni nostri uno dei campi basilari per far si che la gente
sia d'accordo per rischiare la vita in guerra è quello
di usare gli organi d'informazione e quei loro giornalisti che,
come diceva Stendhal, non vedono l'ora di scrivere a favore di
qualunque cosa il Governo decida di fare.
Naturalmente il trucco basilare perché questa tattica
abbia successo è che questi organi d'informazione siano
ascoltati, siano ritenuti affidabili, credibili, seri,
dalla popolazione, ovvero da coloro che dovranno mandare i propri
ragazzi a morire per la causa del Governo o di parte di esso,
per poi non avere alcun vantaggio tangibile (ma esiste?) in cambio
di questo terribile destino, neanche per chi resta. Le proteste
ci sono, di solito, ma non così forti e comunque spesso
sono così isolate da incidere in alcuna maniera, e tutto
prosegue verso quanto deciso in grandi sedi circondate da pareti
opache.
Se ci pensiamo è una cosa incredibile: morire, restare
menomati a lungo se non per sempre, per portare vantaggi per chi
alla guerra non ci andrà mai, né invierà
i propri figli o quelli degli amici e/o colleghi.
Quali sono dunque le motivazioni che si creano per far si che,
in ogni parte del mondo e in ogni epoca, giovani e meno giovani
accettino di mettere a repentaglio il proprio futuro?
Gli aspetti basilari sono solo 2:
a) Creare un nemico che vuole attentare alla sicurezza, alle abitudini
e le tradizioni della nostra Nazione e dei suoi abitanti;
b) Se questo dovesse prevalere la nostra vita sarà definitivamente
diversa e peggiore, i nostri principi verranno calpestati senza
ritegno e magari ridicolizzati. I nostri figli e le nostre donne
saranno fatti a pezzi.
Questi eventi sono sufficienti, riducendo all'osso la questione,
per compattare una Nazione, smussare angolature diverse fra le
diverse fazioni e puntare tutti verso l'interesse primario
della Patria o del concetto che sta alla base della nostra "cultura",
politica, religiosa o sociale. Dottrine che si sbracciano nel
parlare di pace e serenità, salvo poi riuscire a convincere
la propria gente che gli stessi principi di pace, amore e fratellanza
davanti al proprio Dio, sono gli stessi che adesso giustificano
(e magari richiedono) la morte dell'avversario, il nemico. I sofisti
greci avrebbero molto da imparare (o da dolersi) per certi risultati
dei loro studi.
A quel punto se la vita ed il modo di vivere di tutti è
in pericolo, diventa accettabile il sacrificio di qualcuno, o
anche di molti, pur di garantire la sopravvivenza dei più
e del nostro modus vivendi, dei nostri principi, della
nostra religione, del nostro modello di vita, quello a cui tutti
siamo attaccati, quello che tutti noi cementa. Gli stessi
noi che fino ad un attimo prima non ci siamo neanche salutati
e che, anzi, non ci sopportavamo affatto. Ma ora è la Patria
che ci chiama.
Se questi sono da sempre stati motivi sufficienti per organizzare
guerre, adesso con le possibilità di informazione migliore,
maggiore e globale, diventa più facile raggiungere e convincere
un numero anche maggiore di persone con poco sforzo logistico,
mentre nei secoli passati si doveva correre fisicamente da un
capo all'altro del Paese per comunicare la prossima guerra a cui
tutti i giovani dovevano partecipare senza tante discussioni.
Adesso basta quasi la televisione o Internet per comunicare il
fatto e convincere gli "interessati" a partecipare
seppure con una convinzione non sempre al massimo.
Paradossalmente la massa d'informazioni crea maggiori difficoltà
se uno volesse informarsi oggettivamente. Come discernere l'informazione
corretta da quella di parte? Se quest'ultima avesse una forte
preponderanza di mezzi a disposizione, cosa accadrebbe? Forse
quello che accade a noi abitanti del pianeta Terra oggi? Ammaestrati
da gestori di giornali, e televisioni, nonché religiosi,
filosofi, sociologi e psicologi. Tutti tesi a creare percorsi
sui quali ci dobbiamo muovere e pronti a offrire piattaforme di
discredito e derisione non appena qualcuno tenta di muoversi su
sentieri appena diversi. Non avviene solo in politica, ma anche
in economia, nella scienza, nella ricerca di vario tipo, ordine
e grado.
Una volta concordato il nemico e i pochi punti alla
base del nocciolo del ragionamento, è necessario far intervenire
i soggetti cui prima si accennava, ma anche certi gruppuscoli
di esagitati sono i benvenuti, per far circolare adeguatamente
i concetti che debbono essere recepiti dalla popolazione:
a) preparare il terreno all'annuncio, creando, sottolineando,
ingigantendo le negatività introdotte dal nemico nei nostri
confronti e magari facendo in modo che vi siano piccole, e a volte
inventate (vedi l'incidente nel Golfo del Tonchino nel 1964 quando
gli Stati Uniti dichiararono che la loro nave Maddox era stata
attaccata da missili vietnamiti e pertanto si sentirono autorizzati
a entrare in guerra contro il Vietnam del Nord, caso poi smentito
dalla National Security Agency e classificato come falso storico,
fu comunque sufficiente per scatenare il richiesto spirito nazionalista
nel popolo americano per far accettare la guerra nel Sud-Est asiatico),
scaramucce su cui lavorare (questioni di confini, guerre
commerciali risolte con la forza - ma nel torto dall'avversario,
insulti al nostro modo di vivere, ai nostri principi morali, ecc.),
se non introdurre aspetti linguistici di ambiguo sapore: guerra
per la pace o per portare la democrazia come vogliamo noi
anche a loro, introdurre la nostra cultura nei loro paesi
facendo scempio della loro;
b) convincere quante più persone possibile della necessità
assoluta di far quadrato intorno alla Patria da difendere in modo
tale che chiunque abbia dubbi se ne stia zitto o, se parla, venga
sommerso dalle critiche, finendo magari incarcerato per manifesto
comportamento anti patriottico in un momento (per giunta) di particolare
gravità.
Naturalmente dall'altra parte, la parte del nostro nemico,
verrà condotta una campagna simile in tutto e per tutto,
ma contro di noi. A quel punto nelle due popolazioni germoglieranno
i semi dell'antipatia, poi del rancore, fino all'odio totale verso
l'altro, fino a pensare di averlo sempre mal sopportato e che
finalmente adesso è il momento di sanare ataviche questioni
(magari inesistenti nella realtà storica, ma originate
ad arte dalle rispettive propagande o da altri Stati sobillatori
per ragioni economiche o geopolitiche).
Dopo che la guerra sarà iniziata, svolta e finita, forse
non tutti riusciranno a ricordare i motivi oggettivi dell'odio
(qualora vi fossero stati realmente) ma certamente tutti ben ricorderanno
la propaganda che li ha accecati in passato (forse tale odio sarà
utilizzabile anche per il futuro), ma a quel punto non sarà
più necessario, né importante. La guerra c'è
già stata e chi ne doveva trarre vantaggio lo ha già
incassato. Gli altri hanno pagato per tutti.
Siamo pronti per la prossima guerra e ci ricascheremo di nuovo.
4. Continua