Le previsioni dell’International Energy Agency per il 2035 e qualche riflessione.



Autore: Flavio Gori



Il 9 Novembre 2010 la International Energy Agency ha presentato il suo libro 2010 relativo alle previsioni dell’Agenzia per il consumo energetico da qui al 2035. Come ogni anno, l’evento ha raccolto l’interesse di moltissimi esperti provenienti dai settori più disparati.

Negli ultimi anni hanno preso sempre più campo le tematiche relative alle energie rinnovabili e conseguentemente la questione del picco del petrolio, da un lato, mentre dall’altro assumono inevitabilmente sempre maggiore rilevanza le attività di Paesi come l’India, il Brasile e naturalmente la Cina.


Ci sono alcuni grafici estremamente interessanti e dai quali possiamo avere un’idea nitida di come fino a oggi la situazione si è evoluta e di come la IEA prevede andrà da oggi al 2035.


Iniziamo la nostra breve e parziale analisi prendendo in considerazione la richiesta di energia: la IEA prevede che  aumenterà di un 36%, una media dell’1.2% annua. In questo ambito è necessario sottolinerare che, sempre secondo la IEA, il ruolo della Cina aumenterà fino a rappresentare il 20% dell’intera domanda mondiale.


Ma quale sarà il ruolo del petrolio nel consumo energetico mondiale del 2035? Secondo le stime della IEA vediamo che il picco del petrolio relativo ai pozzi attualmente utilizzati, è già superato. A partire dalla fine del 2009 la linea che disegna le disponibilità petrolifere si sta abbassando in maniera decisa e si prevede di arrivare dagli attuali 60 miilioni di barili al giorno, a qualcosa meno di 20 nel 2035. Bisogna dire che a oggi abbiamo una serie di probabili pozzi petroliferi che sono stati scoperti ma dei quali, per vari motivi, non abbiamo ancora iniziato a sfruttarne le capacità. 


Le stime prevedono inoltre una serie di possibili altri pozzi che dovrebbero essere scoperti nei 25 anni che ci separano dalla data in esame, ma ovviamente questo riguarda stime teoriche non ancora confermate sul campo. Resta quindi un po’ da chiarire come si potrà arrivare ai 96 milioni di barili al giorno che le stime dei consumi prevedono come necessari a soddisfare la richiesta mondiale e allo stesso tempo pongono una domanda di non facile soluzione: se la richiesta salirà fino a quel livello senza che le capacità estrattive la possano sostenere, chi ne resterà fuori? Chi si accaparrerà i barili e come?


Una delle discriminanti dovrebbe essere il costo del barile che nel 2035 si presume arriverà a circa 205$ dagli attuali 88$ e questo probabilmente potrebbe generare un raffreddamento della domanda diciamo privata. Certamente non sarà in grado di fermare le necessità del grande trasporto come gli aerei o le navi o il traffico pesante su terra, pur limitandone il raggio e l’utilizzo. Ma cosa accadrà degli utilizzi militari, chi vorrà rinunciare alle possibilità operative offerte dal petrolio? In questo ambito, e non da ora, si aprono scenari interessanti, tutti da studiare e analizzare per provare a capire.



Un altro degli aspetti che vale la pena considerare è dato proprio dai sistemi di trasporto:  nel 2035 si stima che il 70% dei veicoli venduti saranno ecologici, si baseranno quindi su sistemi di trazione elettrici o di simile tecnologia, in maniera di abbattere decisamente la CO2 che stiamo riversando nella nostra atmosfera.

Al di là delle importantissime questioni legate a questo aspetto ne vorrei accennare un altro paio:

come prima cosa direi che le vetture elettriche e ibride se da un lato sono probabilmente meno inquinanti dei tradizionali veicoli a motore a scoppio tradizionale, dall’altro dobbiamo segnalare che al loro interno albergano metalli (detti Rare Earth Elements, ovvero elementi di terre rare o REE) che sono assolutamente necessari al funzionamento di questi sistemi propulsivi ma che durante le fasi estrattive sono estremamente inquinanti, al punto che la maggior parte dei paesi del mondo (quelli che avevano questi materiali nel loro sottosuolo) ha bandito l’attività di minieraggio, Stati Uniti compresi. 

Questo fatto ci dice che la questione inquinamento non viene risolta da questi mezzi di locomozione, esso viene casomai relegato nelle aree estrattive creando gravissimi danni all’ambiente e alle persone che vivono nei pressi, da chi ci lavora a chi semplicemente vi abita. Dato che, come accennato, le aree minerarie interessate non sono esclusivamente in zone del terzo mondo, c’è da scommettere che non sarà facile estrarre queste REE.


Questo ci conduce direttamente al secondo aspetto di cui volevo parlare: la chiusura della stragrande maggioranza di queste miniere ha portato al fatto che oggi il 97% della produzione mondiale di queste materie, estremamente costose e rare, è in territorio cinese, il che a sua volta pone almeno due ulteriori problemi:

se un domani la Cina volesse aumentare i prezzi a suo piacimento, quali difese avrebbe l’Occidente? Se teniamo presente che questi materiali non si limitano a essere fondamentali per la realizzazione di auto ecologiche, ma sono assolutamente basilari anche per realizzare telefoni cellulari, computer, forni a microonde, armi a guida laser e il resto della attuale produzione ad alto e altissimo contenuto tecnologico, capiamo bene che il problema comincia a essere strategicamente assai importante. 


Anche perché la Cina potrebbe non solo decidere di aumentarne i costi a piacimento, ma anche decidere di non esportarne. Prima di urlare al dietrologismo da quattro soldi, invito a riflettere sulla recente questione cino-giapponese (serve registrazione) dello scorso Ottobre quando un vascello commerciale nipponico ha invaso (secondo Pechino) le acque territoriali cinesi e visto che non si riusciva a trovare una soluzione che soddisfacesse entrambi i Governi, Pechino ha chiuso i rubinetti di REE verso Tokio. Se consideriamo la necessità di REE per l’economia giapponese, capiamo meglio le capacità di convincimento che le REE hanno nei confronti del mondo intero e occidentale in particolare.


Gli Stati Uniti, dopo aver colpevolmente sottostimato le problematiche in gioco arrivando a vendere alla Cina la sua ultima e più importante azienda nel ramo REE, stanno cercando di correre ai ripari. Secondo le stime degli esperti internazionali, sono necessari circa 15 anni per far si che una miniera dismessa di REE possa tornare utlizzabile commercialmente. Nel frattempo il vantaggio commerciale e strategico delle corporation cinesi si sarà fatto complicato da arginare e se non saranno escogitati altri metalli in grado di essere utilizzati per gli scopi sopra tratteggiati, non sarà facile venirne a capo. 


Cosa ne sarà della tecnologia (militare inclusa) occidentale? Quali scenari si aprono? 

Questo non ce lo può dire la IEA, essa può solo allertarci.