Il presente articolo è stato pubblicato nel numero di Novembre 2008 della Rivista INCONTRI edita dal Rotary Club Firenze Sud



La NASA e Marte.


Autore: Flavio Gori


Dei vari pianeti del Sistema Solare, Marte è probabilmente quello che più sogni ha acceso nell'immaginario di noi abitanti del pianeta Terra.


I motivi sono vari e provengono in buona parte da vecchi libri e film di fantascienza dove molti dei titoli e dei soggetti sviluppati riprendevano idee, paure e speranze su Marte in quanto pianeta abitato da persone simili a noi e talvolta interessati a colonizzare il nostro pianeta sia con scopi benevoli che non.


Una volta che gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica riuscirono a spingersi con le loro navicelle spaziali fino a orbitare intorno a Marte, buona parte delle credenze si dissolsero, ma in certi casi ne nacquero altre che hanno recentemente festeggiato i 30 anni di vita, come la questione della cosiddetta Faccia su Marte, ovvero quella figura assai simile ad un volto umano che sembrava apparire in un'immagine ripresa dalle sonde NASA Viking 1 e 2 a metà degli anni 70, rilanciando verso la Terra un'affascinante possibilità: seppure adesso disabitato, Marte era stato abitato in tempi remoti da una civiltà in grado di scolpire un'enorme faccia sulla pietra marziana. Tale figura era così grande da poter esser vista anche da qualche centinaio di chilometri d'altezza, ovvero la distanza a cui volavano le sonde americane.


Certamente tale eventualità scatenò un interesse molto ampio in tutto il mondo e nonostante che la NASA si fosse a più riprese attivata per consigliare maggiore cautela, moltissimi furono i giornali e i libri che furono stampati nel mondo intero a sostegno di questa ipotesi.


Secondo la NASA uno dei motivi che meglio dovevano indurre a cautela erano quelli relativi a giochi d'ombre che potevano far pensare di scorgere una  figura inesistente nella realtà. Tale possibilità avrebbe raggiunto ulteriori risultati qualora i venti di Marte avessero spostato masse di superficie in maniera adeguata. Una sorta di casualità, probabilmente accentuata da una non altissima qualità dell'immagine originale e da qualche trucco fotografico sempre in agguato quando si ha a che fare con foto digitali.


Negli anni seguenti alcune delle navicelle spaziali russe, americane e inglesi che si sono spinte verso il Pianeta Rosso hanno dovuto fare i conti con una certa sfortuna e forse con alcuni errori di progettazione e calcolo degli ingegneri, non raggiungendo il suolo marziano o comunque non riuscendo a dialogare con la stazione base a Terra, alimentando così alcune leggende sull'effettiva presenza di entità intelligenti su Marte che si sono propagate ulteriormente andando a consolidare alcuni miti.


Grazie ad una revisione sostanziale dei sistemi di lavoro, negli anni più vicini a noi una serie di esplorazioni americane si sono dimostrate addirittura più performanti di quanto non ci si aspettasse in fase di progettazione. 

Le sonde spaziali della NASA denominate Spirit, Opportunity e da poche settimane Phoenix, stanno operando sulla superficie del Pianeta senza alcun problema inviando una massa straordinaria di importanti informazioni alla base terrestre della NASA.


Pur nell'importanza delle azioni da intraprendere con queste navicelle, la NASA non volle dimenticare di chiarire il "mistero" della faccia su Marte che negli anni aveva assunto dimensioni mediatiche di tutto rispetto. Una volta giunte sulla verticale del punto in questione, Spirit e poi Opportunity scattarono una serie di foto ad altissima risoluzione dimostrando che la "Faccia su Marte" era solo un casuale gioco di luci e ombre e non vi era assolutamente niente che facesse anche lontanamente pensare ad un qualcosa di artificiale.


Ma al di là di queste operazioni che si possono definire come più attente al lato giornalistico, molte altre importanti attività scientifiche sono in essere e  certamente una delle più importanti è stata compiuta da Phoenix quando è stata in grado di verificare la presenza di acqua sia allo stato solido che liquido sulla superficie e nell'immediato sottosuolo del pianeta.


Negli anni dell'esplorazione spaziale, la scoperta dell'acqua su un corpo celeste è sempre stata considerata come una delle più importanti scoperte della storia in quanto l'acqua è l'elemento base della nostra vita.


Inoltre l'effettiva presenza di acqua e magari in adeguate quantità potrebbe fornire un aiuto decisivo nell'esplorazione di Marte da parte degli astronauti.


I preziosi dati che le sonde attualmente su Marte inviano a Terra, permettono la creazione di un database straordinario. Grazie a questo le carte geologiche, topografiche e di qualunque altro genere potranno avere un livello qualitativo assai superiore rispetto a quanto sinora prodotto.


Non si tratta di risultati tecnici fini a sè stessi: con questi dati le possibilità di una futura missione umana sul pianeta rosso aumentano in maniera consistente perché i dati raccolti permettono una precisione finora non avvicinata.


Phoenix, ad esempio, in questi giorni sta prelevando campioni del suolo marziano, li porta all'interno della navetta e qui li analizza con un piccolo ma assai preciso microscopio che è in grado di esaminare le più minuscole particelle che compongono il terreno marziano e inviare a Terra quanto analizzato, sotto forma di informazioni digitali.


A Terra i ricercatori della NASA controllano i dati, li confrontano con quanto in precedenza arrivato nelle loro mani sia da Marte che da altri corpi celesti, nonché dal nostro pianeta e tramite questi incroci di informazioni potranno capire meglio le eventuali analogie presenti fra i corpi celesti o, al contrario, quello che li separa, collezionando informazioni utilissime per capire storia passata e possibili evoluzioni future dei nostri corpi celesti, Terra (e i suoi abitanti) inclusa.


Queste informazioni saranno a disposizione anche di cartografi, geodeti e geologi, i quali potranno aggiornare le carte di Marte per rendere più sicure le prossime missioni sul Pianeta Rosso dando un contributo importante alla fattibilità di una missione dell'uomo. 

I dati che al momento sono raccolti permetteranno una maggiore conoscenza anche della geodinamica marziana con l'eventuale incidenza di terremoti con l'indicazione delle aree dove questi eventualmente si possono più frequentemente presentare e con quale ampiezza, evitando un atterraggio umano in quelle zone. Resta inteso che da quelle faglie potrebbero venire informazioni utili per meglio comprendere i terremoti terrestri e di conseguenza salvare vite umane qui sulla Terra.


Il gruppo di scienziati che lavora con Phoenix sta nello stesso tempo verificando il miglior sistema per analizzare campioni di ghiaccio marziano, usando il "Thermal and Evolved Gas Analyzer" che riscalda i campioni prelevati analizzando e riconoscendo le eventuali differenze tramite i vapori da questi rilasciati.


Entro pochi giorni inizierà un'ulteriore esperimento teso a trovare maggiori quantità di acqua ghiacciata. Il tutto tramite l'uso di un più sofisticato braccio meccanico anch'esso patrimonio di Phoenix.

Per la piccola vettura marziana si tratta di una corsa contro il tempo (meteo), in quanto l’inverno marziano con temperature che durante la notte arrivano anche a meno 100° e il forte vento che lo contraddistinguono stanno creando gravi problemi. Phoenix a fine ottobre è stato messo in condizione di limitare al minimo l’attività per cercare di ripararsi e conservare energia per quanto possibile. Inoltre e in maniera del tutto inattesa, la piccola rover ha spento una delle batterie di corredo, come a volersi ulteriormente difendere in attesa di ordini da Terra. Purtroppo la sua fine sembra segnata ma dobbiamo ricordare che essa era stata inviata su Marte per lavorare i tre mesi dell’estate marziana ma siamo già ad oltre cinque mesi di lavoro in un ambiente particolarmente difficile. Onore dunque al merito di Phoenix e dei suoi progettisti, nonché di coloro che la stanno guidando al meglio delle possibilità, mai perdendo la speranza che la piccola Phoenix possa sopravvivere alle intemperie marziane e riaffiorare alla vita dopo qualche mese di letargo.


Ci aspettano giorni di grandi novità provenienti da qualche milione di chilometri dalla Terra, ma ancora all'interno del Sistema Solare. Si tratta di prove fondamentali per mettere a frutto le nostre attuali conoscenze che a loro volta ci serviranno per un futuro salto ancora più strabiliante: collezionare dati dall'esterno del Sistema Solare e capire cosa ci aspetta oltre le "porte" del Sistema planetario che ci vede  vivere.

Le leggi della fisica saranno sempre le stesse di quelle di cui abbiamo percezione qui sulla Terra?


Per ora un primo timido passo è in essere grazie alla sonda della NASA Pioneer 10 che, lanciata da Cape Kennedy nel 1972 è da poco uscita dal Sistema Solare inviando dati ancora non perfettamente identificati.

Al momento sembra che la NASA abbia perso i contatti con Pioneer 10, ma non è detto che non possano essere ripresi. E' già accaduto in precedenza e dunque non perdiamo le speranze di avere notizie di prima mano dallo spazio profondo!


Una sfida senza precedenti bussa alle porte della nostra conoscenza. Dobbiamo prepararci per non farci cogliere impreparati. L'agenzia spaziale americana - NASA - ha storicamente dato contributi di primaria importanza allo studio dello spazio, non solo con sonde automatiche ma anche con missioni spaziali di grandissimo livello, basta ricordare lo sbarco del primo uomo sulla Luna nel Luglio 1969 e le successive missioni umane (fino al 1972) sul nostro satellite naturale.

Un evento storico straordinario a cui chi ha avuto il privilegio di assistere anche solo davanti a un televisore non potrà dimenticare per l'intera sua vita.

 



Il microscopio di cui ci si serve per le accurate analisi accennate nell'articolo è fornito da un Consorzio capitanato dall'Università di Neuchatel in Svizzera, mentre la Missione Phoenix è guidata da Peter Smith dell'Università dell'Arizona, con la Direzione genrale del Jet Propulsion Lab della NASA a Pasadena, California, in partner con Lockheed Martin di Denver, Colorado, le Università di Copenhagen e Aarhus in Danimarca, il Max Planck Institute in Germania e l'Istituto Meteorologico Finlandese, oltre alla suddetta Università svizzera di Neuchatel.


Ulteriori informazioni e immagini delle ricerche NASA su Marte qui.