La Cina è meno vicina?

Autore: Flavio Gori


Dunque la Cina è vicina. Ma quanto? e perché?

Credo si tratti di una cosa non così facile da definire anche a causa di come è usualmente presentata sui media occidentali. proviamo a stare ai fatti. Grazie al presidente Mao Tzetong la Cina aveva compiuto uno sforzo terribile per affrancarsi da problemi millenari, ma ancora tantissimo restava da fare nel caso avesse voluto industrializzarsi sul sistema occidentale. Al tempo stesso teniamo presente che possono esistere anche altri metodi per modernizzare una nazione e non solo quello che noi ci siamo ritrovati a seguire.


Per cercare d' inquadrare correttamente la questione, a mio parere è interessante osservare il periodo storico che va dalla fine degli '70 alla fine degli anni '80 del secolo scorso, contraddistinto da politici come Reagan, Thatcher e Deng Xiaoping.

 Le loro idee così diverse fra i primi 2 e Deng, trovano un clamoroso punto d'incontro solo perché i 3 hanno idee opposte sul commercio, le industrializzazioni, ma soprattuto sui termini temporali: i primi 2, o meglio chi li ispira, sono agenti acritici del mercato libero e del guadagno del capitale (privato) immediato anche se a danno di intere nazioni del terzo mondo al quale la Cina a quel tempo appartiene (e sotto certi aspetti ancora lo è).

Il presidente cinese Deng Xiaping è invece un soggetto un po' anomalo: un comunista che pensa di servirsi della forza economica del capitalismo per far avanzare la ricchezza del suo Paese il più rapidamente possibile e per fare questo non esita a stringere accordi in quel momento capestro con i massimi rappresentanti del liberismo occidentale. Eppure Deng riesce a guardare più lontano dei primi 2.


Per portare avanti l'industrializzazione del suo Paese Deng accetta e fa accettare condizioni di vita, di lavoro, di stipendi e di diritti per i propri lavoratori che in Occidente sono semplicemente inaccettabili e improponibili (a quei tempi).

Ecco che le necessità dei 3 capi di governo s'incontrano grazie alle mire temporalmente assai diverse dei 3: guadagno immediato per i primi, possibilità di creare una struttura che lavori per il medio-lungo periodo per Deng.

Grazie a questo curioso accordo l'occidente trasferisce le proprie strutture manifatturiere nella terra di Mao e la Cina non spende una lira per progettarle, costruirle e formare i tecnici che ci dovranno lavorare e manutenere. Tutto sarà compito delle imprese occidentali che verranno a usufruire del bassissimi salari e dei diritti sindacali inesistenti, che consentiranno loro di lucrare in maniera impensabile mantenendo le strutture manifatturiere in Occidente (ma non diminuiranno i costi per i clienti finali, a tutto vantaggio delle aziende che però continueranno a incolpare il costo della mano d'opera Occidentale - e non i bonus e gli stipendi dei manager che valgono gli stipendi di qualche centinaio di operai - come motivo per delocalizzare). Primo vantaggio.


Mentre le aziende occidentali accumulano enormi guadagni, che quasi mai vanno a vantaggio dei propri stati (sotto forma di tasse), lo Stato cinese accumula risorse finanziarie ancora maggiori che però restano allo Stato e negli anni questo crea una differenza sempre più marcata fra Pechino e gli stati occidentali,  le corporation internazionali che pur ricche, non lo sono abbastanza per combattere la forza delle società statali cinesi. L'Occidente non si salva neanche nel pur strategico settore petrolifero e la Cina conquista in buona parte del mondo campi petroliferi fino ad allora ad uso esclusivo delle 7 sorelle.


Ma se guardiamo al rapporto fra Cina e USA vediamo che molte, moltissime cose sono cambiate dai tempi di Reagan a oggi. Fino a 2 anni fa la Cina era di gran lunga il maggiore acquirente dei titoli del debito pubblico americano. Con questo sistema, gli Stati Uniti parevano pensare che avrebbero potuto continuare a permettersi un livello di spesa straordinariamente alto, in barba alle loro effettive risorse. Perfino arrischiarsi alla creazione di una bolla ridicolmente grande come quella esplosa nel 2008 che ha portato così tanti problemi nel mondo. Buona parte di quei soldi andati in fumo sono in realtà rimasti nelle casse americane di banche d'affari varie, ma hanno creato un problema non insignificante: la Cina se l'è legata al dito e non ha rinnovato buona parte degli acquisti di bond USA, al punto che son tornati disponibili per le famiglie americane in quantità enormi rispetto agli ultimi 10 anni. Ripetute visite e colloqui fra le 2 amministrazioni (anche ai massimi livelli) non sono state abbastanza per far cambiare idea agli eredi di Deng, nè è stata sufficiente la gentile concessione del maggiore pozzo petrolifero iracheno nella zona gestita dall'italia. la Cina non compra più i titoli americani e questo è un grave problema per gli Washington (e il Dollaro americano) che non hanno chi finanzia, ad esempio, le loro spese per la guerra in Iraq e Afghanistan. Buon per loro che il Presidente Obama ha contestualmente attuato il ritiro dall'Iraq.


Sempre a proposito del petrolio ricordiamo che la Cina è il maggior acquirente a livello mondiale, ma non pensiamo che sia solo per il suo esclusivo uso interno. In realtà una parte non da poco di quel petrolio torna in Occidente dopo esser stato raffinato dalle raffinerie cinesi che hanno soffiato un importante business all'Occidente, Italia compresa.


Possiamo quindi dire che dopo qualche anno in cui la Cina ha operato come la fabbrica del mondo, la politica cinese comincia mostrare che non ha alcuna intenzione di godere passivamente dei vantaggi portati dai capitali occidentali ed ecco che conquista nuovi mercati, in particolare in Africa, Asia e dovunque ci sai qualche buon affare da fare. Ad esempio acquistando (e trasferendo la direzione immediatamente in cina) la maggiore azienda americana e occidentale che si occupa di metalli rari (REE), quelli per cui il Presidente Deng 30 anni fa dichiarò: "il medio oriente ha il petrolio, ma la cina ha i metalli rari", quelli per capirsi, grazie ai quali sono possibili i computer, i cellulari, la batterie al litio, i sistemi di armi intelligenti a guida laser e altre diavolerie di alta e altissima tecnologia. 

Oggi la cina ha il 95% della produzione mondiale di queste materie e possiamo capire meglio la preoccupazione americana di mantenere un piede in Afghanistan, specialmente ora che sono stati scoperti interessanti giacimenti di REE.


Il modo con cui la Cina tratta gli accordi coi paesi africani ricchi di petrolio e altre materie prime (rame e uranio, ad esempio) mi rammenta quello usato dall'Eni ai tempi di Enrico Mattei e non c'è da meravigliarsi che abbia preso il posto delle potenze occidentali in così breve tempo. ma la Cina non è l'Italia degli anni 50 e gli Stati Uniti non sono in grado di imporle granché.


Resta il punto dei lavoratori, dei loro diritti e degli stipendi.

Prendiamo ad esempio la città cinese di Shenzhen, uno degli esempi migliori per capire come la Cina ha costruito la sua forza economica, senza andare troppo per il sottile in relazione ai diritti dei suoi operai. Nel 1993 un centinaio di lavoratori e lavoratrici morirono bruciati vivi dentro l'azienda in cui operavano a causa di un'esplosione e delle scarse norme anti incendio che erano all'epoca in vigore.

Oggi quella città è un fiore all'occhiello della ricerca tecnologica e sede del secondo super calcolatore nel mondo in quanto a potenza di calcolo.


Da un lato la Cina è il paese del mondo che più inquina (retaggio del passato), ma dall'altro è il paese più verde al mondo con la maggiore concentrazione di aziende che operano nel settore del rinnovabile, gettando le basi per il futuro eco sostenibile della Nazione.


Nel 2006 il Governo di Pechino cominciò a fare circolare presso le camere di commercio occidentali presenti in nel Paese, la bozza di un documento teso al miglioramento delle condizioni di vita e di stipendio dei propri lavoratori, una sorta di statuto dei lavoratori, lo chiameremmo noi.

Ebbene le CCIAA occidentali fecero cartello contro questa bozza minacciando di lasciare in massa il territorio cinese nel caso fosse stato messo in opera così com'era.

Il Governo centrale decise di accogliere in parte quelle richieste e mitigò quello statuto che pure risultò un buon miglioramento per i lavoratori cinesi.

In queste settimane il quotidiano in lingua inglese China Daily ha pubblicato qualche anticipazione secondo cui Pechino intende allargare le maglie della redistribuzione, stavolta a favore del ceto medio. Io la vedo come la fase 2 del miglioramento delle condizioni di vita cinese il cui Governo pare comunque mantenere intatte le volontà di raggiungere il comunismo entro i 100 anni promessi da Deng Xiaping: "abbiamo ancora 40 anni di tempo e intendiamo onorare la promessa del nostro presidente Deng Xiaoping" rivendicò assai energicamente il solitamente pacato console cinese Li Runfu a Firenze durante la festa per i 60 anni della Repubblica Popolare Cinese, lo scorso anno.


Se teniamo conto di questi brevi accenni di vita e politica cinese , credo che ciò che inizia a delinearsi è che la società cinese e quella occidentale sono su 2 piani inclinati verso direzioni opposte: la nostra è alta ma scende. Quella cinese è bassa ma sale.

Le recenti strategie occidentali basate sul concetto capitalistico del guadagno sull'immediato a cui tutto viene sacrificato, non ha portato che peggioramenti di vita, di ricchezza e nei diritti di ampie fasce di lavoratori: dagli operai, agli impiegati, fino al ceto medio.

La Cina è nella direzione opposta, con un grande aspetto peculiare da sottolineare, a parer mio come fondamentale: il mercato interno interno cinese è superiore a quello dell'intero Occidente.

Probabilmente questo è uno dei motivi più importanti per cui la crisi che sta pesantemente incidendo da un paio d'anni sulla vita occidentale e che ancora non è superata, a pechino è durata appena sei mesi, poi l'economia ha ripreso a marciare come prima.


Una volta che l'Occidente ha dato alla Cina la capacità manifatturiera, Pechino è passato a migliorare seppure lentamente le condizioni di vita degli operai, adesso è la svolta decisiva: il ceto medio.

Ricordiamoci che storicamente la Cina ha sempre avuto spinte isolazioniste. Se anche stavolta cederà a queste spinte (e abbiamo visto che a breve potrebbe essere in grado di autosostenersi ad alto livello consumistico), cosa accadrà? e se invece deciderà di mantenere un canale aperto con il resto del mondo ma da posizione dominante?


Il punto alla base di tutto mi sembra che sia la programmazione: i cinesi la attuano con cura lenta ma indefessa. L'Occidente non sembra in grado di farlo neanche (e forse soprattutto) quando si sente vincitore assoluto sull'intero scacchiere internazionale, preferendo lasciare spazio a politiche poco lungimiranti, politiche che sembrano più adatte alla creazione di un deserto mondiale che al miglioramento non solo comune ma anche solo del proprio Stato, preferendo accumulare ricchezza in termini monetari, troppo spesso fine a sè stessa. 


D'altronde Adam Smith forse aveva la vista lunga ma non abbastanza da calcolare certi politici e studiosi frettolosi. Mi sa che è stato un destino condiviso anche da Carlo Marx.