Conoscienza e Autoreferenza.


Autore: Flavio Gori

Una delle esperienze che spesso ho avuto negli ultimi anni, è stata quella di parlare con giovani universitari o neo laureati che parevano esser stati istruiti solo sul come perpetuare gli insegnamenti ricevuti e non sul come metterli alla prova rispetto alle alternative che avrebbero potuto incontrare dopo il conseguimento della laurea.


Sembravano esser pronti solo a chiudere le porte al possibile prendendo per assodato solo quello che già si conosce, come se fosse la verità e non la base del proprio sapere su cui costruire l’avanzamento proprio e della scienza. Come se gli studi compiuti fossero il compimento della scienza e come tale qualunque argomento si fossero trovato davanti poteva essere verificato ma solo se coerente con quanto studiato.


Questo modo di operare, a mio parere, è pericoloso per l’essenza stessa della scienza che rischia di perpetuare solo una supposta conoscienza a danno della vera scienza che deve semplicemente indagare senza stancarsi. Anche se in qualche rivolo rischia di mettere in crisi teorie di cui ci siamo innamorati o che stanno a cuore a qualcuno.


Dato che anche l’economia e la finanza sono affette dal problema, non c’è da meravigliarsi se i giornali, le televisioni o le radio, non parlano della difficoltà del sistema economico occidentale che negli ultimi anni riesce solo a far crescere le ricchezze di alcuni Stati che possiedono le materie di cui le economie occidentali hanno bisogno per far proseguire i loro sistemi, senza apparentemente capire che foraggiando le già ingentissime ricchezze di quegli Stati produttori (se abbastanza furbi da non farsi ingabbiare in certe politiche occidentali) gli Stati consumatori sarebbero inevitabilmente giunti al punto in cui non potevano più gestire le proprie economie che sarebbero altrettanto inevitabilmente passate sotto l’influenza dei fornitori d’energia meno sprovveduti.


E’ in effetti questo il caso che ormai sempre più chiaramente si sta dipanando sotto i nostri occhi. 


Da alcuni anni il rapporto semi-amichevole fra Stati Uniti d’America e Arabia Saudita si è invertito e lo Stato medio orientale non solo non è più condizionato dalle volontà americane, ma al contrario è ormai così ricco, potente e influente nelle economie internazionali (anche grazie a pacchetti azionari di grande rilevanza nelle maggiori società e banche mondiali) da poter influenzare la politica monetaria americana (The Times 29/6/2008: Saudis press United States to put an end to rate cuts  di Irwin Stelzer).

La politica portata avanti dalle ultime amministrazioni americane hanno facilitato il compito saudita, portando la ricchezza delle casse di quel Paese a livelli di record. 


Nel frattempo le casse dello Stato americano si svuotano, ma non le casse di alcune grandi corporation americane che operano nel settore petrolifero e che possono investire i ricavi dove più sono remunerati, senza curarsi dei problemi immessi nel Governo Federale americano che talvolta non riesce neanche a incassare le tasse da queste corporation che traslocano le sede legale in Paesi più compiacenti sotto questo profilo. Che tutto questo sia sintomo di un capitalismo illuminato, non mi sento di affermarlo. 

Di contro si osservano sempre più spesso investitori sconosciuti e particolarmente arroganti operare con quantità di denaro in grado di influenzare interi mercati e qualche volta mettere in gravi difficoltà non solo popolazioni già in crisi per altre e annose questioni ma addirittura Nazioni dall'economia solida come l'Islanda. 


Petrodollari in continua ricerca di guadagni facili o primi esperimenti per incidere pesantemente sull'economia e la politica di Stati sovrani?

 

Nei giornali della nostra Italia, raramente riesco a trovare seri accenni sulle difficoltà americane a mantenere la posizione primaria nell’economia a suo tempo acquisita.


Come abbiamo avuto modo di scrivere in precedenza su questa Rivista (Gli Stati Uniti, il Dollaro e gli Altri, nelle 6 puntate pubblicate nel corso del 2008) i motivi sono sostanzialmente da ricercare nella ipovisione degli amministratori americani che sono riusciti nella non semplice impresa di indebolire drasticamente una posizione internazionale assai privilegiata in nome dell’avere sempre di più nell’immediato senza curarsi adeguatamente del futuro a medio-lungo termine, sfilando nel contempo potere agli organi del proprio Stato (lo Stato che svilisce se stesso a favore dei privati è una sorta di nonsenso molto in auge in Occidente) a favore di grandi Società americane che pur crescendo a dismisura nei fatturati, non sono cresciute abbastanza da far concorrenza a nuovi capitalismi di Stato, che in pochi anni sono stati in grado di sorpassare la potente lobby economica privata americana fino al punto di mettere addirittura a repentaglio il ruolo internazionale della Super Potenza USA.


Tutto questo si è verificato per non voler ascoltare coloro che avevano dubbi sulla conduzione economica, finanziaria e industriale, oltre che politica, degli USA. Dato che nessuno ha voluto o potuto mettere in dubbio alcune tesi ormai dentro la pelle della classe dirigente americana e delle sue migliori (o più ascoltate) menti universitarie, non si è capito in tempo quello che tali reiterati comportamenti avrebbero causato alla Nazione americana. 

Il sistema non ha permesso interferenze sul modo di vedere e di operare sui mercati e nei rapporti internazionali, sottovalutando il fatto che i tempi non sono più quelli del secondo dopoguerra e che non esiste più il contraltare sovietico.


Eppure questa è stata la scelta delle scuole, delle Università occidentali o di una gran parte di esse. Un terribile errore che, naturalmente, si è cercato di replicare anche qui in Italia, ove possibile. Probabilmente la pigra complicità di un buon numero di docenti ha fatto si che la scelta avesse luogo e fosse in qualche modo ben recepita da buona parte degli studenti, in qualche caso ben lieti di rappresentare un anello di congiunzione fra il potere precedente e quello che sarebbero andati a rappresentare. 


Se la ricerca si chiude sul loro sapere, chi mai potrà sostituirli? Un perpetuarsi dello status quo che potrebbe andar bene a tanti, ovvero coloro che fanno i conti senza l’oste e sono quindi destinati a bruschi risvegli, quando la realtà mostrerà loro il conto chiedendogli capacità di usare strumenti discriminanti che non hanno, che non sono stati allenati ad avere, nè loro hanno rivendicato oltre a quelli preconizzati dal sistema che li ha allevati. 

A quel punto si troveranno davanti solo la loro scarsa lungimiranza. Chi ha cercato di proseguire  nel solco della scienza, a quel punto ne godrà i benefici. Per gli altri vi saranno solo briciole di qualcosa, speriamo non siano cattedre da dove continuare a instillare chiusi preconcetti validi solo per assicurarsi poltrone a favore del potere e dei soldi ad esso connessi almeno finché tale processo vivrà. 


Sarebbe per loro utile impiegare qualche anno per riflettere e passare ai propri figli concetti diversi da quelli che hanno caratterizzato la loro vita, spesso sacrificata a favore di ruoli ritenuti di prestigio (e dagli ottimi stipendi) ma di scarsa importanza scientifica e controproducenti per il futuro delle persone e del pianeta.


Il mondo può cambiare anche grazie a questi errori. Ma ci vuole onestà intellettuale. Ce n'è ancora in giro?