Autore: Flavio Gori
Stante l'attuale e consolidato
ammontare del debito pubblico americano, se le maggiori banche
centrali e i Paesi grandi produttori di energia ed elementi altamente
strategici (oggi oro, mais, petrolio, gas, uranio; domani forse
anche acqua e aria) dovessero cambiare moneta di scambio lasciando
il dollaro USA per un'altra moneta (ad esempio: l'euro, come fece
l'Iraq di Saddam Hussein poco prima di venire invaso), si aprirebbero
scenari poco rassicuranti per lo Stato americano e l'enorme disparità
di forza militare rispetto al resto del mondo, seppure usata senza
remore, potrebbe non essere sufficiente a garantire l'attuale
supremazia e l'attuale livello di consumo (stile di vita) americano
ancora a lungo.
Inoltre la forza militare è stata possibile grazie al sostegno
della potenza economico-finanziaria che, se venisse a indebolirsi,
non potrebbe sostenere ancora adeguatamente tale macchina da guerra,
nè la ricerca scientifica e tecnologica necessaria al mantenimento
dell'intera sezione militare americana. Specie nel caso venisse
ancora usata in maniera poco oculata come in questi ultimi anni
è accaduto in Iraq e Afghanistan: grande dispendio di energie
umane e di mezzi, con risultati del tutto non adeguati per lo
Stato americano ma ben vantaggiosi per le conglomerate che hanno
l'appalto "post"-guerra. Gli stessi servizi d'intelligence
paiono non aver risposto alle necessità della Nazione americana
nel loro importantissimo lavoro d'informazione sul campo. Forse
un segno di una difficoltà a farsi accettare dalla popolazione
locale dopo i primi momenti di apparenti buoni rapporti.
Se ripensiamo all'immagine americana nel secondo dopoguerra e
fino gli anni '60 e '70, ci accorgiamo che a quei tempi dire America
significava parlare di una nazione in grado di occupare la posizione
principale sia in termini di potenza economica che militare, sia
nel settore scientifico che culturale, pur avendo già imbastito
la guerra in Corea e in Vietnam ed esser da poco usciti dal maccartismo;
pur avendo dovuto osservare l'uccisione di un Presidente come
John F. Kennedy, di un possibile candidato presidente come suo
fratello Robert e un leader negro moderato e progressista come
Martin Luther King l'immagine degli Stati Uniti come baluardo
democratico mondiale continuava a regnare quasi incontrastata.
E per qualcuno, specie in Italia, lo è ancor oggi.
Dal punto di vista industriale, le aziende americane facevano
il bello e il cattivo tempo anche nel settore manifatturiero.
In seguito, e sempre per seguire il loro imperativo capitalistico,
si è preferito spostare buona parte della produzione manifatturiera
verso quei paesi che accettavano di buon grado di sobbarcarsi
la produzione di quanto la popolazione americana voleva comprare
e queste nazioni erano anche in grado di rifornire il mercato
americano a prezzi stracciati rispetto a quanto accadeva con l'industria
manifatturiera locale, americana quindi.
Vi era certamente un rischio assai velenoso per gli USA come per
qualunque Paese che decida di delocalizzare le attività
manifatturiere (e sembra strano che chi di dovere non se ne preoccupi
concretamente e costruttivamente, come se non recepisse la problematica
che è alla base di buona parte dei guai economici nel mondo
occidentale di questi primi anni del terzo millennio): se era
(ed è) vero che un basso livello di prezzo avrebbe aumentato
le vendite e i profitti della grande distribuzione, cosa ne sarebbe
stato dei lavoratori che avrebbero perso il loro salario? Come
avrebbero potuto comprare le belle cose che arrivavano dall'estremo
oriente seppur a basso prezzo, quando erano sempre di più
coloro che avevano perso lo stipendio?
E poi un secondo aspetto: nei Paesi in cui trasferivano la
produzione, si è assistito ad un livello inaccettabile
di crescita di tassi d'inquinamento e condizioni di lavoro altrettanto
invivibili. Il prezzo del basso costo all'acquirente finale occidentale
e dei grandi profitti per le catene commerciali che smerciano
il prodotto, unito alla creazione di grandi società e capitali
nei paesi produttori, sono stati salatamente pagati dalle popolazioni
native che, inoltre, si sono trovate costrette ad abbracciare
stili di (quasi) vita ben lontani dalla loro tradizione, creatori
di sfiducia, tristezza e quindi di malattie di vario genere, in
cambio di salari comunque da fame. Spesso con relazioni di lavoro
a livello schiavistico. Raramente la protesta per queste condizioni
di vita inaccettabili raggiunge i picchi necessari. Forse perché
abbiamo timore di non poterci più permettere le scarpe
o i computer di quelle note marche?
Dunque questo modo di intendere i rapporti fra gli Stati e le
persone ha creato scompensi un po' da tutte le parti. Anche in
America, in realtà, per tutti coloro che hanno perso il
lavoro e per ritrovarne una parvenza sono stati costretti ad assecondare
imposizioni accettabili solo con grande difficoltà, ingoiando
amarissimo.
Proviamo a chiederlo a questi americani che (soprav)vivono in
California (sempre meno sono coloro che se lo possono permettere)
o ad altri che magari hanno la loro casa mobile in Georgia o in
Delaware per difendersi da un costo della vita sempre più
difficilmente sopportabile per chi deve anche pagarsi l'assicurazione
sulla salute con costi altissimi e sempre più fuori dalla
portata della gente normale.
Per togliersi il dubbio basta parlare con un operatore sanitario
che lavora in USA: potrà raccontare le peripezie di un
professionista in mano alle compagnie assicurative. Sono i loro
impiegati (non medici) che spesso decidono se un intervento chirurgico
o una particolare cura di costo elevato possono essere praticate
oppure no. Certo, il medico può imporsi e far accettare
la terapia che ritiene più adatta al suo paziente, ma correndo
il rischio di entrare nella lista nera delle assicurazioni che
potrebbero decidere di non voler più lavorare con lui.
Quanti saranno disposti a correre questo rischio?
Dato che il fine fra privato e pubblico è ben diverso,
la differenza fra una sanità ben gestita è fatta
dalle persone che ci lavorano e non dal fatto che siano aziende
private o enti pubblici. La sanità non può essere
considerata, nè deve agire, come un'azienda privata che
nasce per creare utili ed è necessario che sia gestita
(bene) dallo Stato che deve prendersi in carico il mantenimento
ed anzi il miglioramento della salute dei propri cittadini.
Insomma le persone che vivono in America non sono tutte sullo
stesso piano e le differenze creano voragini fra le classi. A
fronte di ricchezze difficili da capire (anche per i beneficiari
stessi), abbiamo povertà sempre più diffuse e profonde
anche fra persone che hanno un lavoro, pur non precario. Ma se
la popolazione normale si impoverisce e non ha grandi tasse da
pagare e chi le dovrebbe pagare (persone o aziende) emigra verso
Nazioni compiacenti, lo Stato federale diventa sempre più
povero, a fronte di aziende americane sempre più ricche
ma non abbastanza ricche e potenti a livello mondiale da poter
sostenere l'espansione del modello americano. Ma è ancora
un loro interesse?
Per reggere la vecchia posizione avrebbero bisogno di uno Stato
nazionale ricco e potente economicamente e finanziariamente, ma
al momento è forte solo militarmente o, per meglio dire,
con gli strumenti tecnologici usati militarmente. L'esercito USA
risulta essere sempre più in difficoltà nel gestire
le guerre nella loro globalità e mantiene una chiara supremazia
solo nello scontro diretto Stato-Stato. Nel tipo di confronto
militare tradizionale.
Abbiamo visto in Vietnam, Iraq e Afghanistan che tale supremazia
non è sufficiente per consolidare una vittoria sul campo
di battaglia ed abbiamo anche notato che gli attuali apparati
americani non sono capaci di gestire logisticamente, politicamente
e socialmente le pur evidenti superiorità militari.
Questo è di per sè un grave problema per un Paese
che ha mire di colonizzare l'intero pianeta. Visto che lo Stato
americano con le recenti amministrazioni repubblicane ha teso
ad appaltare l'appaltabile (ovvero quasi tutto), non si può
preventivamente escludere che sia allo studio una gestione completa
del post-guerra (e di alcune parti della guerra stessa) in outsourcing,
magari con la creazione di agenzie ad hoc dove poi non ci sarà
da meravigliarsi se scopriremo presenti nei rispettivi consigli
di amministrazione personaggi che fanno parte del governo (com'è
accaduto per le corporation che gestiscono la cosiddetta ricostruzione
dell'Iraq).
Ma per quanto sarà ancora in grado di dimostrare anche
la sola superiorità militare Stato-Stato se gli altri indici
generali della economia nazionale non saranno più all'altezza
e non potranno più garantire la ricchezza necessaria a
supportare il settore militare, nè quello della ricerca
scientifica (dove già si possono intravvedere alcune crepe)?
Alcuni osservatori internazionali asseriscono che uno dei punti
cardine della potenza tecnologica degli Stati Uniti è l'eccellenza
delle loro scuole e Università. Le migliori università
sono in USA, le più alte capacità tecnologiche e
scientifiche sono in USA, il meglio delle scuole è in USA.
E' questo sufficiente a far si che gli altri Paesi emergenti come
forze internazionali dovranno sudare ancora molti anni prima di
raggiungere il livello USA?
Molto meno di quanto potrebbe sembrare a prima vista. I motivi
sono vari, ma fondamentalmente il punto è che buona parte
dei ricercatori di primo e secondo piano, degli insegnanti e docenti
di miglior livello e quindi di coloro in grado di proporre nuove
tecnologie e addirittura in grado di allevare legioni di buoni
e ottimi ricercatori e insegnanti, sono di origine asiatica e
non è da escludere affatto che molti di loro, specie i
migliori, saranno persuasi ad un rientro in un modo o nell'altro
nella madre patria e molti saranno indotti a portare altrove dagli
USA le loro capacità. Da qui alla creazione, al miglioramento
deciso dell'istruzione ad ogni livello nel Paese e quindi delle
capacità scientifiche e tecnologiche che saranno alla base
dell'innalzamento del Paese di provenienza nei settori strategici
per l'evoluzione scientifica, economica e militare così
come viene intesa attualmente nell'emisfero Occidentale, sarà
solo questione di tempo. Come ci insegna l'esperienza economica
che abbiamo cercato di descrivere seppure sommariamente in questo
articolo, i tempi che normalmente erano previsti per raggiungere
un ceerto obiettivo sono stati generalmente dimezzati, per cui
una simile eventualità non si può escludere neanche
per la parte in questione.
Naturalmente le Nazioni asiatiche potrebbero decidere di estrapolare
dal marasma odierno alcuni cardini della loro Cultura tradizionale
a creare un mix fra Oriente e Occidente che potrebbe condurle
a punti d'arrivo al momento non identificabili con certezza, ma
probabilmente in grado di innescare un avanzamento che si stacca
decisamente dal sentiero fin qui battuto e come tale potenzialmente
in grado di condurre verso lidi diversi e, si spera, almeno più
rispettosi di tutti gli esseri viventi e dell'ambiente.
Siamo dunque di fronte ad un impoverimento progressivo e storicamente
molto rapido (anche questa accelerazione è stata imposta
dal sistema economico americano, un'ulteriore paradosso, un'ulteriore
esempio di auto distruzione di uno stato per favorire una strategia
di politica economica che è alla base dello Stato stesso
e che quindi portava e porta in sé il germe della sua auto
- sconfitta) di una potenza usualmente definita super e l'unica
rimasta dopo la deflagrazione dell'USSR.
Come se gli Stati Uniti ed il loro sistema economico-militare
avessero necessità di un nemico per non soccombere. Come
se il loro progetto politico si esaurisse sul concetto di paura
dell'altro. Il contrario di quello che era alla base del Mito
Americano alla nascita della grande Nazione americana.
Ma il nemico più temibile sembra essere un baco interno allo stesso sistema americano che lo corrode giorno per giorno, facendogli credere che lo sta gratificando. Le grandi corporation americane adesso che hanno spolpato clienti, concorrenti, Stati esteri e il proprio Stato, non si rendono conto che senza uno Stato federale forte politicamente, oltre che militarmente, e ricco, non possono gestire le grandi competizioni internazionali dove il grande capitalismo di stato alleato con le rispettive forze politico-militari ha buon gioco nel creare le giuste connessioni, spodestando l'usuale potenza americana con un nuovo tipo di forza. Probabilmente altrettanto arrogante nel prossimo futuro, se non già in qualche presente.
Siamo dunque al punto che la Nazione americana per mantenere
il suo status di super potenza ha assoluta necessità di
mantenere i canali che la riforniscono di materie prime energetiche
e di farlo a prezzo di svendita grazie al contributo fondamentale
che le viene dal Dollaro in quanto moneta base degli scambi economici,
minerari, finanziari ed energetici di tutto il mondo, ma anche
dalla sua stessa solidità economica e dal proprio mercato
interno, così vasto da interessare in maniera importante
gli Stati fornitori di materiali lavorati più importanti
(Cina e India ma anche Russia, Germania, Giappone e Vietnam) al
punto che questi Stati investono nel debito pubblico americano
cifre assai alte dando un contributo rilevante alla ricchezza
americana e il suo mantenimento e al tempo stesso creandosi le
condizioni per non poter lasciare tale mercato pena la loro stessa
debacle economica, almeno per quanto riguarda la parte investita
in Dollari americani. Dato che questa è una parte assai
rilevante degli investimenti di queste Nazioni, non c'è
da aspettarsi un improvviso cambiamento di rotta dei loro investimenti.
Ma forse un allentamento progressivo potrebbe essere già
iniziato E forse anche da parte di qualche Stato arabo tradizionalemte
legato agli USA.
Se così fosse e una di queste colonne portanti venisse
meno o se anche una parte di queste venisse messa in discussione,
sarebbe un problema per gli Stati Uniti e per il sistema economico
che si sono costruiti negli anni quando, come si accennava, hanno
potuto far si che tutti gli altri stati del mondo lavorassero
per il loro benessere, imponendo una sorta di tassa al mondo intero.
E che questi accettò di pagare.
Adesso che l'America si sta avvicinando ad una sorta di enorme
scatola (finanziaria) vuota di industria manufatturiera per cui
dipende quasi completamente dall'estero (non l'industria bellica),
il fatto che qualche fornitore (anche storico) possa fare le bizze
non rispettando i vecchi accordi è di una gravità
assoluta per almeno tre rischi altrettanto importanti:
a) mancanza di energia nelle quantità necessarie al proprio
modello di sviluppo;
b) il pagamento di questa energia fra Paese esportatore (qualunque
esso sia) e Paese compratore (qualunque esso sia) viene effettuato
in valuta diversa dal dollaro;
c) Le Banche centrali dei Paesi più ricchi del mondo diminuiscono
il loro coinvolgimento nel debito pubblico americano.
Questi eventualità, insieme con la perdita di controllo
di Enti come la Banca Mondiale, il Fondo Mondiale Internazionale
o la World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio),
sono al momento difficilmente accettabili per gli USA. Pena la
loro sopravvivenza come super potenza e come mercato in continua
espansione.
Questi sono forse fra i motivi principali che spingono gli
USA a non mollare di un millimetro quando si tratta di approvvigionamento
energetico come il petrolio e ricordiamo che Saddam Hussein (tipica
creatura politica americana) fu rovesciato pochi mesi dopo la
decisione dell'Iraq di usare la moneta europea - euro - per gli
scambi commerciali collegati al suo petrolio, lasciando il dollaro
americano. Una decisione che il governo americano deve aver considerata
la vera arma di distruzione di massa che stavano cercando per
far accettare la guerra alla publica opinione. Ecco dunque che
l'arma letale c'era, era stata trovata la pistola fumante, come
piace dire a certi commentatori un po' embedded, ma non la si
poteva citare. Ed allora si sono inventati altri tipi di armi,
che però non sono stati trovati, probabilmente perché
non c'erano.
E' comunque credibile che gli USA, anche per un possibile e devastante
effetto domino per la loro economia, non vogliano permettere simili
libertà (lasciare il dollaro per l'euro o altra moneta
di scambio) a nessuno e teniamo a mente che anche l'Iran, nell'inverno
2007, ha deciso di sostituire il dollaro con l'euro e starebbe
addirittura pensando di organizzare una Borsa del Petrolio, a
livello mondiale, in Euro ponendola in concorrenza con le altre
Borse petrolifere esistenti (Londra e New York). Cosa comunque
più facile a dirsi che a farsi, pur avendone già
costruito i locali e pur avendo dalla sua Paesi come Cina e Russia
che non vedono l'ora di potersi affrancare dall'occidente e dal
Dollaro.
Un aspetto comunque assai intrigante è dato dal fatto che
una società inglese detiene circa il 25% del capitale della
Borsa Petrolifera Iraniana.
Da quando si cominciò a vociferare della possibilità di questa terza borsa sono iniziate sempre più pesanti accuse americane verso la Persia ufficialmente relative alla fabbricazione da parte iraniana della bomba atomica (ecco un elemento in grado di incollare sentimenti nazionalistici, indipendentemente dal fatto che corrisponda o meno a verità oggettiva) e certe decisioni del Presidente iraniano Mohammad Ahmadinejad sembrano corroborare le speranze americane al fine di giustificare un intervento armato che possa essere accettato, se non richiesto, anche dall'opinione pubblica americana e forse mondiale, seppure sarebbe ufficialmente giustificato con motivi che poco o niente avrebbero a che vedere con il timore della bancarotta americana. Come per l'Iraq e le sue fantomatiche armi di distruzione di massa mai trovate, la storia si ripete ma i rischi per la posizione dominante degli Stati Uniti d'America sono sempre più forti e un Dollaro quotato a 1,50 sull'Euro e oltre, può suonare una cosa strana per tante persone, ma non per chi opera in settori strategicamente rilevanti.
Detto questo, affrontato una serie di questioni sul tappeto da qualche mese in vari organi d'informazione ed anche nei circoli economico-finanziari internazionali, ci chiediamo: è una situazione che si è andata creando negli ultimi mesi? Per quale motivo gli Stati Uniti sono precipitati in questa condizione e perché non sono stati in grado di fronteggiarla?
Con l'aiuto di Wikipedia
proviamo a trasferirci negli anni 30 del secolo scorso, poco dopo
la grande crisi del 1929 e cerchiamo di capire come siamo arrivati
allo sganciamento Dollaro/Oro del 1971.
Nell'aprile 1933 il Presidente americano Roosvelt emise l'atto
delle emergenze bancarie al fine di togliere il proprio Paese
dal sistema monetario aureo per scollegare la convertibilità
dei dollari in oro da parte dei cittadini americani, lasciandolo
possibile per gli stranieri. Con questo sistema si toglieva una
barriera d'accesso al debito.
In seguito grazie al New Deal, Roosvelt mise in piedi un'economia
grazie alla quale le banche poterono usare capitali emessi dalla
Banca Centrale USA. Nasceva il concetto di debito di Stato che
pur avendo dato una spinta straordinaria allo sviluppo della Nazione,
col tempo avrebbe finito col creare una tale voragine nei conti
pubblici americani, da mettere a rischio di crisi l'intero sistema.
Un'ulteriore mossa fu quella di valutare il valore dell'oro
a seconda che si trattasse all'interno degli Stati o in trattative
internazionali, fra Stati diversi. Nel primo caso il valore fluttuava
a seconda del mercato, nel secondo caso il valore era fisso a
35 $ l'oncia, come stabilito dagli accordi internazionali stipulati
a Bretton Woods.
Da quel momento le transazioni internazionali di oro, petrolio
e le altre materie prime, come in precedenza accennato, vengono
trattate in valuta americana.
Già a quei tempi si sospettava che la quantità di
oro presente nelle casseforti americane era insufficiente a coprire
il valore dei dollari conservati all'interno ed all'esterno degli
USA ed in seguito per cercare di mantenere fisso il cambio oro/dollaro
a 35$, fu organizzato un pool di banche centrali nazionali.
Il Presidente Richard Nixon nel 1971 decise di svincolare anche
i dollari posseduti dagli stranieri dalla parità oro/dollaro
e da un certo punto di vista con questa mossa ammise le difficoltà
della moneta (e dell'economia) americana, ma riuscì ad
allontanare qualche pericolosa nube che si stava avvicinando al
dollaro.
A metà anni '70 dello scorso secolo, la Banca Centrale
USA non poteva più assicurare la convertibilità
della moneta in oro ma rispetto agli accordi di Bretton Woods,
gli Stati stranieri non potevano vendere i dollari di cui erano
in possesso, nè chiedere di convertirli in oro o nella
loro moneta nazionale.
Potevano però investirli per acquistare i titoli del debito
pubblico americano o investirli in banche americane.
Si tratta di una discriminante assai importante: ci fa capire che non è stato solo per la grande forza commerciale del mercato interno americano che tante Nazioni del mondo hanno acquistato azioni e titoli si Stato americani.
Con la grave crisi petrolifera del 1974 susseguente ad una
guerra mediorientale, il prezzo del petrolio quadruplicò.
Dato che il petrolio viene pagato in dollari da tutte le Nazioni
del mondo, questo spinse verso l'alto la quotazione della moneta
americana, giusto in un momento in cui ne aveva un gran bisogno
(la guerra in Vietnam stava causando una decisa discesa del valore
del biglietto verde). Oltre a questo assistemmo alla nascita dei
cosiddetti Petrodollari, ovvero i grandi capitali che i Paesi
arabi traevano dalle vendite dell'oro nero e che riversavano nella
banche, nei titoli azionari e nei titoli di Stato americani, contribuendo
così all'innalzamento del valore del Dollaro, sostenendo
l'economia americana.
Nonostante gli accordi di Bretton Woods non siano più in
essere, gli Stati del mondo continuano a saldare i propri conti
(specie quelli energetici) con la moneta americana. Questo comporta
l'acquisto di grandi quantità di moneta.
Altrettanta moneta viene acquistata per investire in azioni
e titoli del debito pubblico americano e per rifondere i debiti
al Fondo Monetario Internazionale, all'Organizzazione Mondiale
del Commercio e alla Banca Mondiale.
Queste, come riportato in precedenza, sono le colonne portanti
del finanziamento a costo zero che permette alla Nazione americana
di garantire il proprio tenore di vita, il proprio debito pubblico,
la propria potenza.
Il fatto che Paesi come Iran, Russia, Venezuela e Libia abbiano
allo studio la possibilità di creare reti commerciali basate
su monete diverse, potrebbe essere visto come un oggettivo pericolo
all'economia americana. Ma importanti Paesi nello scacchiere internazionale
stanno cercando un loro ruolo e fra questi troviamo antichi alleati
di Washington come l'Arabia Saudita ed altri ex Paesi invia di
sviluppo, come Cina e India, che hanno ormai raggiunto ricchezze
tali da potersi permettere contrapposizioni fino a pochi anni
fa del tutto impensabili, come anche di stornare parte rilevante
dei loro investimenti in America per dirottarli su altre piazze
ritenute più sicure e meglio performanti. La stessa strada
che sembrano voler percorrere produttori di petrolio latino-americani
come il Venezuela di Chavez.
Allo stesso tempo s'impone un'attenta riflessione su come considerare
il fatto che la Gran Bretagna abbia acquisito circa il 25% della
nascente Borsa petrolifera iraniana, quando gli Stati Uniti dimostrano
di non gradire affatto l'operazione iraniana.
Un'ulteriore riflessione la impongono quei Fondi d'investimento
statali (detti "sovrani"), per lo più orientali
e medio orientali che grazie a capitali fantascientifici sono
in grado di "soccorrere" banche, istituti di credito
e aziende di primaria importanza sia in Europa che in USA che
si possono trovare in scarsità di liquidi a causa di investimenti
sballati per qualche miliardo di Euro o di Dollari. Altri invece
si limitano ad acquistare aziende americane di primaria importanza
grazie al Dollaro molto debole che contraddistingue la fine del
2007 e questi prime settimane del 2008.
In certi casi, molti quelli a cui abbiamo assistito dalla metà
2007 ai primi mesi del 2008, alcuni dei maggiori fondi suddetti
hanno avuto "l'ardire" di entrare in alcune delle banche
occidentali (svizzere incluse) più importanti per sanare
problemi che quelle stesse (e primarie) istituzioni non erano
in grado di risolvere e quindi hanno dovuto accettare l'ingresso
di soci ricchi ma senza il palese benvenuto degli altri azionisti,
creando comunque la si voglia vedere, un precedente di non poco
conto. Anch'esso impensabile fino a pochi anni (se non mesi) fa.
Un ingresso nelle stanze dei bottoni della finanza internazionale
che segna in ogni caso un punto assai importante nelle relazioni
Est-Ovest, anche per le conseguenze che potrebbe avere nella creazione
di una nuova geopolitica industriale, economica e finanziaria,
spostando alcuni centri economici cruciali, da una Nazione ad
un'altra a seconda dello Stato che è dietro un certo fondo
d'investimento che irrompe in enti o aziende occidentali.
I presupposti per un crollo, per una implosione degli Stati
Uniti e forse di buona parte del sistema economico e finanziario
di tipo Occidentale è nei fatti. In uno degli scenari possibili
abbiamo un gruppo formato da grandi finanzieri internazionali
o sovranazionali che guidano il mondo grazie ad aver sfilato dagli
Stati e dai Governi democraticamente eletti i principali poteri
economici rilevanti con la creazione di un ambiente politico e
generale teso a far si che per numerose aspetti basilari della
vita economica democratica ovvero di numerosi servizi, dal pubblico
si passasse al privato che sarebbe stato in grado di condurre
verso il meglio semplicemente perché privato.
Un assunto nel più puro stile del nostro Achille Campanile.
Un assurdo a cui hanno passivamente e colpevolmente creduto in
tanti e che errato si è drammaticamente rivelato in varie
parti del mondo, ma nel frattempo il gruppo dei forti è
in grado di guidare enormi capitali fra un mercato azionario e
un altro per cui riesce a influenzare in maniera pesante qualunque
materia sia trattabile nelle borse merci del mondo, dal petrolio
al mais, dall'acqua al riso e al rame, acquisendo quindi la capacità
di mettere alla fame molte delle popolazioni del mondo o di mettere
in crisi economie pur sane nei loro fondamentali (è stato
il caso dell'Islanda) con arroganti manovre speculative a cui
non vi è legge internazionale in grado di opporvisi per
i motivi appena descritti.
Lo Stato americano sarà in grado di invertire questa
pericolosa china nonostante la diminuzione di strumenti base su
cui può operare? E nonostante che questa carenza di poteri
effettivi sia legata a doppio filo con il capitale che dagli Stati
Uniti ha preso il via e ha cooptato altri? Insomma, al momento
sembra che il capitalismo abbia preso una strada diversa, una
sorta di unione fra gruppi finanziari sovranazionali che sono
cresciuti fino a disporre di poteri economico-finanziari ma anche
di una totale mancanza di etica per cui speculano financo sugli
alimentari fino a creare forti aumenti di prezzi sulle piazze
internazionali e non solo sulle piazze finanziarie ma anche nei
mercati rionali in America come inAsia e Oceania passando per
l'Africa o l'Europa, introducendo quindi una variabile mondiale
assemblata insieme ai criteri di coltivazione che vanno ad adattarsi
perfettamente ai loro voleri speculativi e quindi originando una
realtà nel campo agricolo e alimentare del tutto paragonabile
a quanto avviene in altri settori.
Se nel settore energetico tali comportamenti sono in grado di
sconvolgere i mercati e in prospettiva direi immediata i nostri
modi di viaggiare o di riscaldarci, oltre che di lavorare, nel
campo agricolo tali speculazioni sono in grado di affamare popoli
di un intero continente in meno di un anno. Gruppi finanziari
sono quindi in grado di scatenare guerre mondiali senza fucili
ma capaci di uccidere popoli interi oppure di creare le condizioni
per metterli alla mercè di gruppi farmaceutici o colossi
alimentari che li potrebbero condizionare pesantemente ma solo
nel caso abbiano materie prime interessanti per queste multinazionali.
In caso contrario non avranno alcun aiuto e non vi sarà
alcuna legge o istituzione internazionale in grado di aiutarli.
Va da se che se le istituzioni internazionali si comportano come
il WTO, FMI o la Banca Mondiale, non cambia granché.
Se teniamo conto che a questi gruppi economico finanziari si
adeguano alcune Nazioni in grado di sfruttare un capitalismo statale
di altissimo profilo economico e quindi perfino in grado di superare
le possibilità sul mercato dei grandi gruppi sovranazionali
e privati di cui si parlava, ci rendiamo conto che il futuro delle
popolazioni mondiali non si presenta molto positivo ed inoltre
il futuro della stessa Nazione sinora percepita come lo Stato
capitalista per eccellenza e capofila delle modifiche politico-economiche
in grado di sfilare poteri al pubblico in favore del privato,
si ritrova essa stessa in serio imbarazzo ed ormai vede la possibilità
di perdere la sua posizione di capofila ormai non solo in prospettiva
futuribile ma futura.
E' del tutto chiaro che gli strateghi della politica economica
americana stanno cercando di dare una sterzata a quanto fatto
dalle ultime amministrazioni americane, specialmente a partire
dall'evaporazione del blocco sovietico ma per il momento non si
vedono inversioni effettivamente capaci di esiti favorevoli alla
potenza americana (né si vedono segnali d'aiuto da parte
degli Stati più forti) e pertanto sembra sempre più
probabile la fine della sua influenza, della sua rilevanza a livello
mondiale.
Con quali tempi questo arriverà, non dipende più
soltanto dalle politiche economiche, energetiche e finanziarie
dell'Amministrazione Americana ma anche e forse soprattutto da
quanto decideranno alcuni Stati di quello che pochi anni orsono
veniva definito Terzo Mondo.
Saranno ancora sotto la benedizione inglese?