Strumenti da lavoro.


Autore: Flavio Gori


Ma insomma, cosa succede nel mondo? Cosa succede nelle teste di milioni di persone che lavorano a vari livelli, dall’operaio al dirigente medio e alto in questo inizio del terzo millennio, un millennio che pare indeciso fra la più alta tecnologia e le grezze chiusure mentali tipiche del medioevo?


Negli anni del secondo dopoguerra i movimenti della Sinistra fecero passi da gigante non solo nel campo politico ma anche e soprattutto in quello culturale. Grazie ad essi la democrazia partecipata in Europa occidentale ebbe uno dei momenti di maggiore espansione. 

Essi furono persino in grado di far percepire un aspetto fra i più concreti ma che la gente fino ad allora non realizzava.


Carlo Marx e con lui altri ricercatori di scienze politiche e sociali, avevano messo in chiaro come il capitalismo si era creato una corte di intellettuali dediti al mantenimento e se possibile all’incremento del controllo sociale, con tecniche sempre più sottili e pervasive, messe in pratica utilizzando i vari mezzi tecnici che le epoche storiche e tecnologiche mettevano a disposizione. Tecniche che comprendono anni di studi psicologici, cognitivi, filosofici, sociali tutti adattati alla bisogna del grande e medio capitale. Quello piccolo e piccolissimo non può permettersi simili studiosi. Può solo aspirarvi, tentando di scopiazzare certi dettami, qualora li sappia interpretare correttamente, cosa non sempre realizzata.


E negli anni, oltre a subire per un po’ di tempo la deriva progressista, il capitale e i suoi alfieri hanno trovato il modo di recuperare il terreno perduto, iniziando una vera e propria restaurazione ai danni dei lavoratori, di qualunque livello essi  siano. 

A differenza di quanto molti dei lavoratori si siano accorti, nel caso in esame il grande e medio capitale non si è accontentato di vessare economicamente e psicologicamente la popolazione operaia e quella comunque ai margini inferiori della scala sociale. Per una forma di vendetta nei confronti di tutti coloro che avevano ricevuto un qualche miglioramento sociale nei decenni precedenti, i capitalisti hanno deciso di incidere anche in altri livelli sociali, andando a toccare il ceto medio e medio alto composto da piccoli commercianti, artigiani, impiegati di medio alto livello e dirigenti di basso livello. 


Uno dei pochi settori rimasto escluso da una simile mannaia, è quello degli evasori fiscali che per qualche oscuro motivo continuano ad essere vezzeggiati da tutti coloro che si trovano a maneggiare  un qualche potere. Siano essi di destra che di sinistra. Che sia una sorta d’invito?


Se osserviamo più nel dettaglio i sistemi usati per la restaurazione, ci accorgiamo che si sono serviti di vari strumenti, spesso adeguati al momento storico e tecnologico attraversato. Ma è anche indubbio che il nocciolo del problema, quello che ha rapidamente portato alla vittoria il capitalismo odierno, è stato un concetto alla base di altre vittorie in anni anche molto lontani: la paura. Un aspetto a cui i nostri padri non avevano ceduto durante le loro lotte negli anni del secondo dopoguerra e qualche buon risultato avevano, di conseguenza, ottenuto.

Se analizziamo le notizie sulla cronaca nera usualmente passate nei maggiori canali televisivi e il loro aumento verticale a partire dal 2006 in tutti i maggiori TG televisivi nazionali, specialmente in quelli di Mediaset (Canale5, Rete4 e in particolare Italia1), ci accorgeremo che , stante l’acritica e smodata attenzione che la nazione italiana dedica alle televisioni, una parte da non sottovalutare nella vittoria del centro-destra alle elezioni del 2008 è da ascrivere a questa induzione alla paura. Che continua tuttora in quanto si è ad essa riconosciuto un potere attrattivo per le masse che è necessario mantenere, se non incrementare, fornendo continuamente stimoli appropriati nell’individuazione di possibili bersagli, specie fra gli esseri meno difesi. La storia del ‘900 insegna a osservare con molta attenzione a simili fenomeni, specie quando sono collegati a giornalieri attacchi alla democrazia partecipativa sotto le mentite spoglie di artifici tecnici per aggirare presunte lungaggini parlamentari.


Un arnese vecchio come il mondo è stato scelto, e con successo, come piè di porco per scardinare la corazza che sembrava costruita in anni di lotte.  Tuttavia dobbiamo osservare che il successo della paura è arrivato anche in quelle regioni come l’Europa occidentale e gli Stati Uniti dove era in atto una buona acculturizzazione quasi di massa. 

La paura ha sostanzialmente chiuso ogni speranza di voler capire, di voler lottare per vedere riconosciuti quei diritti fondamentali, basilari in ogni Paese democratico degno di questo nome.

Molti sono stati gli aspetti legati alla vita civile e democratica che sono stati clamorosamente posti in dubbio negli ultimi anni. Uno dei più qualificanti è senza dubbio quello secondo cui un essere umano è una persona e non uno strumento di lavoro. Ne consegue che non può essere trattato al pari di una macchina e i nostri padri hanno lottato anni e anni per affrancarsi da questa condizione: la forza lavoro.


Certo quelle loro lotte non avevano raggiunto il completo successo in quanto le resistenze da parte del grande, medio e anche piccolo (qui certamente coeso con i più grandi) capitale erano state molto forti, ma avevano avuto il grande merito di sottolineare il problema base: non si può usare l’uomo come uno strumento. Da qui si cercava di smarcarsi definitivamente dal concetto di schiavismo seppure annacquato dalle lotte e dai successi della classe lavoratrice nel corso degli anni e da modi conseguentemente meno diretti di porsi da parte dei padroni.


La quotidiana e certosina cura tesa alla ricostruzione di un clima favorevole alla restaurazione che alcuni settori del capitale hanno quotidianamente messo in atto, ha dato i suoi frutti in una 30ina d’anni. Il punto di svolta potrebbe essere considerato la marcia dei 40.000 dipendenti Fiat che il 14 ottobre 1980 diede uno scossone all’orizzonte politico e sindacale scendendo in piazza per dire no alla strategia sindacale e della sinistra in genere, gettando il seme per una restaurazione in piena regola. 

Un’autogol, com’è tipico della classe lavoratrice che si è spesso inginocchiata davanti al potere, magari solo per un tozzo di pane di qualche giorno prima.


In questi 30 anni la cultura della sinistra che dalla fine della seconda guerra mondiale aveva costituito l’asse portante per il nostro Paese, è man mano passata in una posizione di chiara minoranza, decantando e spesso autodecantandosi fino al ruolo marginale che oggi dimostra di avere. 

Tale involuzione, per lo più ad opera dei suoi dirigenti che non sono stati capaci di evolvere con la situazione circostante e sempre più proni verso la cultura populista che si stava facendo avanti a grandi falcate anche grazie al potere economico che tutto poteva comprare, tale involuzione, dicevamo, ha fatto si che le difese culturali nelle classi meno difese e meno attente alla piega che le cose stavano prendendo, e quindi le classi lavoratrici (non solo gli operai ma anche la piccola borghesia e il ceto medio) ricominciassero a sopportare e temere livelli di oppressione che i loro padri avevano combattuto, spesso con successo. 


In questo intervallo di tempo siamo tornati a vedere il posto di lavoro come il massimo bene che ci poteva capitare e dunque a lottare strenuamente per mantenerlo, identificando nel successo dell’azienda in cui si lavora, il proprio successo e quindi non solo accettando quanto la classe al potere ci proponeva, ma lottando ideologicamente per riprendere quel ruolo di strumento umano che anni e anni di lotte sembravano aver posto in discussione. 


Un'importante sconfitta culturale prima che politica, un’involuzione sociale da cui non sarà facile sganciarsi, almeno nel giro di una generazione: la prima ad essere cresciuta a omogeneizzati televisivi e che adesso nei primi anni del terzo millennio sta faticosamente provando ad entrare nelle stanze del lavoro. 

La preparazione culturale iniziata agli albori della televisione commerciale, sta dando copiosi frutti. La destra ne sta approfittando da par suo, la sinistra sta ancora cercando di capire quello che è successo a partire dagli anni ‘70 a questa parte e pensa di poterne capire di più con una serie di scissioni delle quali non si riesce a capire la struttura politica che ne sta alle spalle. La realtà che la sostiene. Ma che sempre più appare figlia di personalismi difficili da capire e da condividere. Uno spasso per la destra, ma anche per l’ex sinistra. Certo un grave problema per tutti coloro che avrebbero solo da guadagnare se esistesse una vera, forte e coesa sinistra.


Non è un caso che oggi una delle battaglie più aspre è all’interno delle classi lavoratrici che si fanno la guerra per acquisire e mantenere la posizione di strumento umano, una delle dimostrazioni più evidenti dell’illibertà sociale e culturale applicata alla persona.

Per accettare e anzi lottare per avere questo ruolo, per prima cosa si deve aver abdicato culturalmente, forse addirittura mentalmente. E una volta arrivati a questi livelli  la vittoria della restaurazione è completa dato che è la persona stessa a rinunciare ai propri diritti basilari per richiedere di voler diventare strumento del capitale.


L’invito che invece voglio propagare è quello a non solo smettere le vesta di strumenti ma anche a prendere coscienza che la vita dedicata al lavoro inteso come mezzo di procurarsi la sussistenza è un altro retaggio che deve essere abbattuto per il semplice motivo che è inammissibile che l’un per cento della popolazione possegga la maggior parte delle risorse economiche: la redistribuzione farà si che il problema sussistenza sarà azzerato e con esso verrà abbattuta buona parte delle problematiche collegate alla cosiddetta delinquenza finanziaria.


La sproporzione delle forze numeriche in campo fra chi possiede e chi non possiede è tale che non possiamo che uscire vittoriosi da una simile contesa. L’aspetto discriminante sarà quello di rendersi conto di questa possibilità. Secoli d’indottrinamento ci hanno creato una corazza difficile da perforare e questo deve essere il compito primario delle forse culturali e politiche della sinistra progressista. 

Raramente, grazie anche alla crisi mondiale di questi mesi, siamo stati vicini a capire la possibilità della vittoria storica che abbiamo a portata di mano, visto l’indebolimento della controparte, o parte di essa. Siamo al punto che l’aspetto base è quello di capire la fattibilità oggettiva. Un bel passo avanti che molti e da ogni parte politica stanno sbracciandosi per non farci percepire la realtà della cosa. A tutti noi la perseveranza dell’avanzare.


Dato che non è da poteri religiosi che dobbiamo aspettarci sostegni di carattere sociale, viene da pensare cosa hanno fatto (o non hanno fatto) in tutti questi anni i partiti di sinistra e i loro dirigenti. 

Probabilmente hanno gettato le basi per la loro uscita di scena a favore di altri soggetti in grado di esprimere un diverso approccio alla politica nazionale e locale. Ma anche un diverso rapporto con gli aspetti culturali, in ampio senso, della vita di ognuno di noi e per ogni giorno. 


Debita riappropriazione dei diritti civili di ognuno. C’è chi la vede così.