Gli Stati Uniti, il Dollaro, gli Altri.

 

Autore: Flavio Gori

Il petrolio non solo corre e supera i 100 $ per barile, sta anche per raggiungere il punto di massima quantità estratta, dopodiché dovremo capire che neanche l'oro nero è inesauribile. Questo farà aumentare il costo del barile a livelli ancora più alti e difficilmente sopportabili dalla maggior parte delle popolazioni, delle Nazioni del mondo. Gli Stati Uniti, ammesso che lo vogliano ancora fare, potranno continuare a basare il proprio approvvigionamento energetico sulla loro macchina da guerra e quindi ipotizzare persino una guerra all'anno (o forse anche di più)?
Se saranno gestite come quelle in Iraq, in Afghanistan o quella in Vietnam, non credo ne saranno in grado; né potranno permetterselo economicamente.
Ma il dubbio che si affaccia è forse ancora più insidioso: l'aumento del prezzo del petrolio è dovuto solo alla sua difficoltà d'estrazione e/o scarsità o non dipende almeno in parte (forse ampia) dalla necessità dei Paesi produttori di bilanciare col costo del barile la debolezza sempre più strutturale del Dollaro e quindi la diminuzione della forza economica rappresentata da questa moneta (e quindi dagli Stati Uniti d'America?).
Dato che buona parte dell'economia mondiale è basata sulla Super Potenza Nord Americana, questa eventualità potrebbe dare la stura ad un movimento, se non un terremoto, economico, finanziario e politico (speriamo non militare), di dimensioni che al momento non è facile prevedere, ma che necessariamente deve prendere in esame anche l'abdicazione degli USA dal ruolo centrale che hanno avuto dalla fine della seconda guerra mondiale e apparentemente rafforzato dopo aver sconfitto l'altra grande super potenza, l'USSR.
Il Dollaro che nel cambio con l'Euro è arrivato a più riprese nei pressi di 1,50, è sottovalutato o non c'è addirittura da aspettarsi un ulteriore calo della moneta americana dovuto alla debolezza intrinseca della sua economia e del suo modello di sviluppo? In questo caso, sarà l'Euro a essere preso come moneta di riferimento internazionale, anziché la Sterlina?
E' per questa sopra ipotizzata debolezza strutturale americana che alcuni Paesi orientali stanno stringendo accordi economici e commerciali di grande rilievo con le Nazioni africane e asiatiche ricche di beni energetici nel proprio sottosuolo e storicamente alleate degli Stati Uniti?
Forse è per questo che alcuni importantissimi Paesi arabi, la Cina, la Russia, il Giappone e forse altri, diminuiscono in maniera rilevante i propri investimenti nei Titoli di Stato americani a favore di altri lidi e di altre monete?
Forse è sempre questo il motivo per cui alcuni Paesi ricchi di petrolio, uranio ed altri minerali strategicamente fondamentali preferiscono lasciare il dollaro per farsi pagare in Euro?
Queste realtà nell'economia e nella finanza internazionale sono dati di fatto ormai da qualche anno e sono puntualmente riportati dalle testate economiche più importanti del mondo. Per qualche motivo, i mezzi d'informazione italiani non sempre riportano notizie, commenti o analisi sulla questione che pure è d'importanza basilare per gli equilibri militari, politici, economici e finanziari del pianeta.
Tutto questo fa si che le casse americane abbiano un taglio netto e assai rilevante di valuta pregiata, quella valuta con cui lo Stato americano si è permesso un livello di vita superiore alle sue pur grandi possibilità, col rischio di scatenare un effetto domino verso altri Paesi che potrebbero seguire questi esempi.
Questi dati di fatto vanno a colpire l'economia americana generando il rischio oggettivo di mettere in dubbio le capacità di sostentamento americane ai livelli che da tempo mantengono. Si tratta di un attacco di grandi proporzioni all'economia della Nazione Nord Americana, per di più portato anche da alcuni dei suoi maggiori e più antichi alleati che, apparentemente, sembrano non fidarsi più ciecamente della Nazione più ricca e potente del mondo e che, effettivamente, ha molto contribuito anche alla loro ricchezza. Ma la forma di capitalismo che gli stessi Stati Uniti hanno creato e sviluppato convinti di poterla facilmente gestire, sta invece creando impreviste e complesse difficoltà alla Nazione Nord Americana.
Ma è davvero così? Gli Stati Uniti stanno arrivando al capolinea così rapidamente e sconfitti dal loro stesso sistema, da fuoco amico? Cerchiamo di provare a capirne di più, col rischio di trovare più domande che risposte. E di scrivere incerte ovvietà a puntate. Ma non saremo i primi, mi pare, neanche in questo.

 

 

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e per molti anni, il ruolo internazionale degli Stati Uniti, universalmente riconosciuto in Occidente, è stato quello del portabandiera della cultura occidentale ad ampio raggio, nonché di una sorta di gendarme nei confronti dell'altra Super Potenza mondiale: l'Unione Sovietica. Entrambe queste Nazioni hanno avuto la fortuna di trovarsi in aree geografiche in grado di fornire ricchi giacimenti minerari, controllare zone importanti geopoliticamente, ma sono state anche in grado di sviluppare imponenti capacità di sviluppo industriale, anche a costo di pagarlo in termini di inquinamento ambientale pesante e di costringere le proprie popolazioni a vessazioni e limitazioni della libertà individuale più o meno evidenti ma presenti in entrambi i sistemi politici. Spesso era proprio la paura dell'altra potenza e delle relative minacce alla rispettiva indipendenza, alla guerra sempre pendente e minacciata che faceva digerire queste limitazioni, anche in Occidente. La paura creata per stabilizzare il potere.


La competizione fra le due Nazioni fu giocata per vari anni in tutti i campi, dall'economico, allo scientifico, passando dal militare. Con il crollo del Muro di Berlino, lo sgretolamento dell'impero sovietico fu evidente e di lì a poco la potenza dei Soviet evaporò in un tempo così breve da far nascere il sospetto che il germe della sconfitta si fosse ormai ben instillato all'interno del burocratico e rigidissimo regime di Mosca e che esso non fosse più in grado di sopravvivere da molto tempo.
Da quel momento gli Stati Uniti furono riconosciuti a livello mondiale come il vincitore della Guerra Fredda e, senza più un nemico definito da combattere, gli ottimisti di tutto il mondo erano uniti nel ritenere che la Terra fosse avviata verso un periodo di pace e prosperità, senza guerre, nè timori per simili problematiche, almeno a livello globale e quindi in grado di distruggere l'intero pianeta in pochi secondi.

L'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (USSR) implose, gli Stati che la formavano tornarono indipendenti con la Russia che rimase una sorta di erede della potenza della vecchia e defunta Nazione. Come spesso capita, una volta naufragato un saldo equilibrio, non fu semplice ricrearlo e probabilmente anche oggi a quasi diciotto anni dal crollo del muro berlinese non possiamo dire che sia stato raggiunto.
Certo il fatto che la censura informativa dell'USSR non permetteva alle notizie "sgradite" di pervenire all'esterno della località interessata e quindi anche un'eventuale scarso equilibrio preesistente al crollo del Muro, non sarebbe stato avvertito, se non in minima e presunta parte.

Ad ogni modo l'evolversi confuso e politicamente instabile dei Paesi dell'ex USSR, faceva ritenere che buona parte di questi si sarebbe presto accordata con gli USA per divenire se non un satellite della potenza americana, certo non un suo fiero oppositore. Alcuni dei politici al potere a Mosca, anche di primissimo piano, sembravano ricoprire le loro cariche giusto grazie ai loro fin troppo cordiali rapporti con l'ex nemico occidentale, con conseguenti vantaggi per alcuni gruppi industriali americani in aree di particolare rilievo strategico, economico e geopolitico.
A fronte di queste positività per gli USA, si iniziarono a intravvedere alcune crepe nella potenza americana e nella sua economia, crepe che non è azzardato riconoscere come create dallo stesso sistema economico americano e l'ingordigia per l'immediato che talvolta lo caratterizza.

Tale sistema si era sino ad allora evoluto grazie al concetto di paura del nemico e l'improvviso venire a mancare di tale nemico, sembrava aver rallentato la locomotiva economica americana che dava qualche segno di impantanamento. In certi casi sembrava quasi che la sconfitta dell'avversario avesse dato la stura a ulteriori e ancora più spregiudicati sistemi di colonialismo economico che furono definiti con una parola che avrebbe avuto un grande successo: globalizzazione.
Forse badando all'immediato e non a una programmazione più organica e tesa al lungo periodo, che invece sembrava regnare durante la competizione con l'USSR, anziché rivedere e riprogrammare se stessa su basi diverse, la nazione americana cominciò a guardarsi intorno per trovare un nemico sufficientemente riconoscibile come tale anche dall'opinione pubblica. Ma non era facile, al punto dove eravamo giunti trovare uno Stato che potesse rimpiazzare l'USSR come nemico-tipo, pertanto s'imponeva un ripensamento generale della politica estera americana, alfine di ritrovare il bandolo della matassa politica e rinnovare la potenza nord americana.

L'economia americana sembrava comunque a prova di bomba. Non bastasse la forza economica derivata dal sistema stesso e dalle risorse minerarie ed energetiche, questa ricchezza e la straordinaria evoluzione del mercato interno della Nazione americana ha da sempre stimolato l'intraprendenza commerciale di ogni Stato del mondo che cerca di vendere i propri prodotti nel ricco mercato americano, oppure produce in proprio prodotti poi commercializzati con marchi americani.
Un altro sistema che molti Stati del mondo hanno usato per entrare in contatto con il mercato americano, e testimoniare la loro fiducia nel suo sistema, è stato quello di acquistare Buoni del Tesoro emessi dagli USA, ovvero i titoli del debito pubblico americano. A fine 2006 circa il 50% dell'intero ammontare del Debito americano era in mani straniere e la sola Cina ne possedeva una percentuale intorno al 35%, ovvero diverse migliaia di milioni di dollari. Nel corso del 2007 tali percentuali sono diminuite a causa di una diversificazione intrapresa dalla stessa Cina e da altre Nazioni, fra cui i ricchi Paesi arabi produttori di petrolio che, in questo modo, hanno sancito una differenza importante e sostanziale di valutazione del rischio verso lo stato americano (e quindi della sua economia e del dollaro), rispetto al passato.

Stiamo parlando di Stati che devono le loro ricchezze (assai vaste) a consolidati rapporti economici con gli Stati Uniti. Tali rapporti sono stati in grado di far evolvere le ricchezze degli Stati in questione a livelli impensabili senza l'ausilio dei consumi americani, del modello di vita occidentale ed in tempi così brevi da far riflettere sulle capacità dei Governi americani non solo, per quanto importantissima, di lungimiranza economico/politica ma anche di semplice trattativa di compra-vendita, oltre che sul livello dei consumi della popolazione americana (e dell'Occidente in genere).
Anche in questi casi si ha la sensazione che sia stata lasciata una mano fin troppo libera alle multinazionali ed al loro concetto di mercato.

 

La forza della Nazione americana, sia dal punto di vista economico-finanziario, che militare e politico ha da tempo portato tutti i Paesi del mondo ad accettare il Dollaro americano come moneta di scambio internazionale per la compra-vendita delle transazioni internazionali, in particolare per quelle relative alle fonti primarie energetiche che significano enormi flussi di denaro e quindi enormi flussi di moneta e oro che da ogni parte del mondo confluiscono verso gli USA offrendo alla potenza americana un importante beneficio grazie al fatto che dovendo acquistare Dollari, tutti i Paesi del mondo pagano quella che alcuni definiscono una sorta di tassa finanziaria che si rivela un eccellente sistema per iniettare denaro fresco e quindi cofinanziare la Nazione americana a costo zero.

E' abbastanza chiaro che gli Stati Uniti non possono permettersi di perdere questi copiosi afflussi di denaro che, nati come un ulteriore sostegno all'economia americana, nel tempo sono diventati colonne insostituibili della politica economica che ha preferito perdere parte dell'industria manifatturiera, a favore di aziende dell'estremo Oriente, per avere migliori margini commerciali nelle più forti catene retail, senza per questo beneficiare i lavoratori delle suddette catene che, anzi, hanno visto diminuire sia le loro retribuzioni che le loro sicurezze contrattuali. Anche da questo punto di vista vediamo che queste operazioni si sono dimostrate una sorta di testa di ponte per poi allargare simili sistemi, poco raccomandabili per le sorti di milioni di famiglie, al resto del mondo occidentale o, per meglio dire, a quella parte del mondo che meno è attenta alle conquiste dei suoi lavoratori. L'Italia è fra queste realtà.

Una sorta di spolpamento di risorse per una parte importante della catena produttiva e quindi a sfavore di chi lavorava in questi settori, a vantaggio della grande distribuzione ma, come abbiamo visto, non ai lavoratori dell settore che hanno dovuto chinare la testa davanti allo spettro del licenziamento tout court.
Certo si creava un forte problema di diminuzione di posti di lavoro e di capacità di acquisto a vantaggio di una parte privilegiata ma sempre più piccola che, seppure in grado di acquistare molto, prima o poi non sarebbe stata più in grado di mantenere stabile il mercato interno e quindi garantire lavoro per tutti.

Un ulteriore sistema intrapreso dagli Stati Uniti per mantenere in vita questo sistema di contribuzione dall'estero, è stato quello di proseguire la cosiddetta politica di cooperazione internazionale già seguita nel passato da altre potenze internazionali per seguire la quale sono state messe in campo alcuni Enti finanziari e bancari a livello internazionale.
Talvolta tali organismi sono stati accusati di praticare tassi di sconto alle Nazioni più deboli, esageratamente alti e tali da compromettere le economie di quegli Stati africani o asiatici che, pur avendo ricchezza di materie prime e che quindi dovrebbero essere in una posizione di rilievo nel panorama economico internazionale, vengono tenuti costantemente in una condizione di grave debolezza finanziaria per cui alcuni aiuti finanziari diventano una sorta di mutuo perenne che paiono non essere mai in grado di rifondere.

A valle di questo, la condizione economica delle popolazioni di questi Stati resta di grave disagio e imperano la fame, la sete e rischi di gravissime malattie che decimano la popolazione, specie la più giovane, con tassi di mortalità nei bambini altissimi e speranze di vita che si attestano sui 35/40 anni.

 

 

Stiamo lavorando per voi.

Ci sono alcuni aspetti dell'organizzazione dei rapporti internazionali, fra Stati, che sembrano congegnati per gratificare finanziariamente il Paese che detiene una sorta di Status primario mondiale. Nello specifico stiamo parlando del Fondo Monetario Internazionale, dei pagamenti delle transazioni internazionali (in particolare di quelle che riguardano le materie prime ed energetiche) e delle Agenzie di Rating, ovvero quelle strutture private che sono sorte per misurare la salute finanziaria di aziende grandi e grandissime nonché, ultimamente, anche degli Stati.


Il problema è che tali Agenzie controllano ma non sembrano controllate, per cui potrebbe darsi il caso che se fosse presa la decisione di facilitare alcune politiche economiche e le strutture finanziarie che le propongono oppure certe politiche verso (o contro) un certo Stato (o gruppo di Stati) nessuno potrebbe capire se i dati pubblicati da queste Agenzie sono veritieri e quanto.
L'ipotesi non è così fantasiosa come potrebbe sembrare e la questione dei mutui subprime, scoppiata a livello mondiale verso la metà del 2007, è qui per dimostrarlo. Sia verso i cittadini che ci hanno rimesso i poveri averi di cui disponevano (a parte il sogno infranto della casa, prima avuta e poi tolta), sia verso tutti quegli investitori grandi e piccoli che ci stanno rimettendo più o meno a seconda del livello d'investimento. In questo non sono state fatte discriminazioni: privati cittadini, piccole e grandi banche, nonché enti pubblici, a tutti è stata data la possibilità di pescare nel torbido, spesso senza esserne a conoscenza, creando una sorta di diaspora del rischio, internazionalizzato e spesso senza che i compratori ne avessero adeguata conoscenza, anche a causa del fatto che i titoli più a rischio erano come nascosti dentro pacchetti finanziari preconfezionati in cui si trovavano anche titoli ben più conservativi.

Si tratta dell'ultimo ritrovato (al momento conosciuto) della finanza creativa americana ideato per creare e intascare grandi quantità di denaro a spese di altri.

Ma torniamo ai finanziamenti concessi alle Nazioni definite in via di sviluppo, secondo il metro Occidentale.
Una volta che gli Stati meno fortunati (anche se ricchi di materie prime) sono considerati dal FMI meritevoli di finanziamenti (forse proprio grazie ai minerali di cui sono ricchi), i prestiti concessi debbono essere restituiti in Dollari americani con i tassi d'interesse che il Fondo decide sulla base di un Consiglio Direttivo controllato dagli USA.
Nel caso che i Paesi beneficiari dei finanziamenti abbiano beni naturali (più spesso) o manufatti con cui permutare parte del finanziamento, le valutazioni dei beni sono effettuate in Dollari. In questo modo gli USA possono venire in possesso delle prelibate materie prime a prezzi di particolare favore e talvolta, negli anni scorsi, si era notato che il valore del Dollaro tendeva ad aumentare quando gli USA dovevano comprare e a svalutare quando gli USA dovevano vendere i loro prodotti. In questo modo gli Stati Uniti sono stati in grado di comprare bene e vendere meglio. Un privilegio usualmente non a disposizione di molti Stati.

E' interessante verificare il livello dei tassi d'interesse praticati ai Paesi beneficiari che spesso finiscono per dover cedere ad altri le loro maggiori e più ghiotte risorse minerarie a prezzi assai convenienti, per di più rischiando di non poter uscire dal loop generato dal mix finanziamento + interessi che finisce per creare ricchezza all'FMI e ai Paesi ricchi e povertà (spesso estrema) per l'altro Paese.
A costo di imporre condizioni molto pesanti al proprio popolo, alcuni stati asiatici negli ultimi mesi sono riusciti a rifondere quanto dovuto al Fondo Internazionale, per poi dichiarare ufficialmente di uscire dal Fondo per trovarsi altre forme di finanziamento, meno stressanti.
Un fastidioso precedente che rischia di generare un effetto domino quantomai sgradito.

Oltre a quanto sopra riportato, non dobbiamo dimenticare un altro sistema normalmente usato per rimpinguare le casse americane di denaro fresco. Le transazioni fra la quasi totalità degli Stati vengono dunque regolate in Dollari, sia che si tratti di prestiti internazionali dell'FMI, sia che si tratti di transazioni di materie prime fra Stato e Stato. In entrambi i casi si tratta di cifre estremamente rilevanti, in particolare quando si tratta di beni energetici come il petrolio, e ogni Stato è costretto ad acquistare il biglietto verde alla fonte: gli Stati Uniti d'America.

Gli eventi tratteggiati generano una massa di denaro a favore degli Stati Uniti di vaste proporzioni. Con tali forme di finanziamento a costo zero sarebbe quasi possibile mantenere in vita l'intero sistema USA, se non fosse per la straordinaria necessità di consumo che è tipica di quello Stato. Sotto certi aspetti possiamo dire che gli Stati Uniti hanno imposto agli altri Paesi del mondo una flusso di denaro grazie al quale essi mantengono in essere uno straordinario mercato dal quale anche le altre Nazioni possono trarre vantaggio purché abbiano qualcosa da vendere nell'enorme mercato americano e quindi non avranno interesse ad abbattere tale flusso finché gli Stati Uniti resteranno il mercato più vasto del mondo.
Una sorta di circolo vizioso o perverso (a seconda dei punti di vista) dove senza dubbio il vantaggio maggiore è a favore dello stato nord americano che almeno dal termine della seconda guerra mondiale, poi consolidato dallo sganciamento del valore del Dollaro dall'oro, ha trovato ottimi sistemi per farsi finanziare da tutte le altre Nazioni senza eccezione e a costo zero.
Tale grande idea è stata resa possibile, probabilmente, dalla forza politica, economica e militare americana che non ha permesso di mettere in discussione la proposta e i suoi termini ad alcuno degli altri Stati, pena l'uscita dal mercato più importante del mondo.

 

1) CONTINUA