IL METABOLISMO LINGUISTICO.

 

 

Autore: Flavio Gori

La lingua italiana è uno degli idiomi moderni più completi che abbiamo l'opportunità di parlare, ascoltare e studiare e questo sia grazie alla ricchezza del vocabolario che la nostra lingua possiede, sia per l'architettura tecnico-linguistica che essa stessa ci offre. Nondimeno la lingua italiana risulta anche uno degli idiomi che maggiormente è attaccato dall'inglesismo, e dai suoi derivati, imperante ormai a livello mondiale. In ogni settore di studio, lavoro e svago, i componenti la nostra lingua, sono quotidianamente assaltati dalle corrispondenti (ed a volte neanche tanto tali) parole inglesi, talvolta prese a prestito anche dal cosiddetto "slang" (una sorta di dialetto) statunitense, che, al contrario, pare sempre più portato a distinguersi dalla lingua originale inglese, sia in termini di pronuncia che di scrittura, ponendosi ormai sulla via di creare un nuovo idioma e quindi spostandosi dalla linea che vede tutti i linguaggi del mondo sottostare all'inglese ed a volte ponendosi esso stesso come alternativa "ideale" in quanto lingua di riferimento.
Non è da escludersi che ciò sia conseguenza diretta del fatto che il gusto medio italiano sia in qualche modo più propenso a lasciarsi influenzare da ciò che giunge dall'estero, specie se da ovest, e questo forse è stato facilitato, nel corso degli anni, in modo particolare dall'attecchimento di modelli culturali considerati vincenti. Questo ha inoltre sviluppato, di pari passo, una forma di parallelo interesse verso aspetti culturali e religiosi di derivazione orientale, talvolta portato avanti proprio come forma di rifiuto e di ribellione rispetto al modello occidentale.
Tralasciando le conseguenze della vittoria degli alleati (in maniera particolare inglesi e statunitensi che qui in Italia fecero la parte maggiore) nella seconda guerra mondiale, che pure ha indubbiamente contribuito a generare un alone di mito positivo intorno ai popoli di lingua inglese specie per le penultime generazioni, vediamo che anche i fenomeni musicali e cinematografici degli anni cinquanta e sessanta, con Elvis Presley, i Beatles ed i Rolling Stones da un lato e Sean Connery-James Bond dall'altro (tanto per citare solo alcuni) hanno contribuito allo scopo. Nei decenni successivi al secondo dopoguerra abbiamo assistito ad un periodo di grande successo per molte proposte che giungevano dalla Gran Bretagna, oltre che dagli USA. In quegli anni, che ora appaiono molto lontani, iniziava anche l'epoca moderna delle comunicazioni di massa. Non erano più solo i giornali e le riviste su carta stampata (che pure aumentavano, di numero), che tenevano aggiornati i lettori; la radio aumentava il suo pubblico, specie quello giovanile grazie a trasmissioni di sicuro interesse e valore, il cinema diventava un grande fenomeno di pubblico e, ancora più importante, la televisione faceva il suo ingresso nelle case di ogni famiglia italiana, creando una forma di informazione, cultura e spettacolo mai prima avuta, pur senza voler giudicare, in questa sede, la qualità del servizio offerto negli anni e con le varie "testate" che si sono via via affacciate alla ribalta.
E' naturale che queste novità scatenarono un aumento esponenziale dell'interesse per vari fenomeni che all'epoca facevano moda. Altre volte gli stessi media hanno "consigliato" mode e creato volontà di identificazione con personaggi "pubblici", arrivando nel momento giusto per contribuire alla creazione di alcuni miti, per lo più anglofoni.
D'altronde la lingua inglese ha spesso giocato un ruolo di grande rilievo nel mondo, sia a livello scientifico che economico, dove la possiamo considerare la lingua ufficiale per ogni interscambio fra Nazioni diverse. Altri idiomi hanno cercato, e forse cercano tuttora, di insidiare il potere della lingua di Albione ma, dobbiamo convenire, con scarso successo anche in quei Paesi che più di altri si battono per l'affermazione della propria identità culturale, linguistica, oltre che economica e politica.
E forse proprio qui è il nocciolo del problema: l'inglese è la lingua vincente, perchè i popoli di lingua inglese sono il riferimento a livello mondiale sia in termini di cultura, che di potenza economica e politica. In epoche passate si è assistito al prevalere di altre lingue, ma in effetti ciò è accaduto in coincidenza dell'affermarsi del Paese, di cui questa lingua era l'espressione, a livello mondiale. Si trattava (e si tratta) dunque di una sorta di riconoscimento implicito del ruolo internazionale che quel determinato Stato stava (e sta) giocando.
Ai nostri giorni l'Italia possiamo dire che non gode di una così grande fama che le permetta di salire i più alti gradini della considerazione mondiale. Se a questo aggiungiamo una certa nostra predilezione per ciò che giunge dall'estero, vedremo che non è poi una grande sorpresa vedere la nostra lingua costantemente messa sotto pressione dai vocaboli stranieri.
Non è facile affermare che questo è, in assoluto, un male, sia per la lingua che per gli italiani. Sicuramente una lingua scritta e parlata ha bisogno di confronti e osmosi continue, anche con diversi idiomi, in maniera tale da mantenersi fresca ed attuale con i tempi che passano. Per ognuno (giovane e meno giovane) dovrebbe essere assai interessante studiare le lingue e le culture straniere (anche perchè talvolta per alcune situazioni di carattere interno al nostro Paese, vengono proposte soluzioni prese a prestito da Nazioni estere, alcune volte stravolgendone i contesti), ma questo non ci può far dimenticare di approfondire la conoscenza della nostra lingua, che è anche testimonianza di radici culturali (insieme ai dialetti) che ci appartengono e che non possono essere sostituite, specie per effimere questioni, da conseguenze di culture a noi per buona parte estranee.
Dunque una cosa è lo studio organico di culture straniere da cui possiamo certamente trarre importanti insegnamenti e conoscenze di primo livello ed altro è infarcire la nostra lingua con parole di cui spesso ci sfugge il loro reale significato e che corriamo il rischio di usare a sproposito.
La situazione della lingua parlata (ed anche scritta) in alcuni settori della società italiana, farebbe temere per l'uso spregiudicato di alcuni termini forestieri, anche perchè talvolta paiono tendere a sostituire vocaboli italiani di cui ci sfugge, paradossalmente, l'esistenza o il corretto significato. Una sorta di "salvataggio in calcio d'angolo", dunque, ma anche una pericolosa dichiarazione di resa davanti allo straniero che avanza, pure ammettendo che tali termini siano adoperati non a sproposito.
Se da un lato si può capire lo sforzo da parte di settori specialistici di uniformare il lessico professionale, in maniera tale da rendere più snello il dialogo fra esperti dei vari Paesi del mondo, dall'altro ritengo anche giusto che non si debba spegnere del tutto la ricerca esplicata, raccontata, nella lingua nativa dei ricercatori del luogo in cui il lavoro si svolge. Che ne sarebbe, altrimenti, del vocabolario scientifico italiano e di vari altri Paesi del mondo?
E' indubbio che un certo cambiamento della lingua parlata e scritta è fisiologico ed, anzi, è giusto che ci sia, altrimenti saremmo ancora a parlare (e più che altro a scrivere) come nel Medioevo. La naturale evoluzione deve anche tenere nel giusto conto i vocaboli stranieri, a volte italianizzati, quando questi realmente entrano nel tessuto sociale e del linguaggio parlato comune, che talvolta pare anticipare la scrittura ed i vocabolari, che prendono atto di tali variazioni con qualche tempo di ritardo, come a voler prima vagliare la necessità di prendere in considerazione le variazioni.

Una lingua risulta dunque vincente anche quando rappresenta una cultura vincente, grazie al momento storico-culturale ed economico che una certa nazione può, nel particolare periodo, incarnare. Ci sono però anche situazioni che travalicano l'aspetto nazionalistico del fenomeno e che hanno ripercussioni trasversali e transnazionali, in quanto generano fenomeni che prendono piede e si affermano non solo in un Paese ma in una zona o in un gruppo di Nazioni, di simile livello di sviluppo, non necessariamente prossime geograficamente. Come sappiamo i nostri anni sono, culturalmente, quasi dominati dalla tecnologia, dall'informatica e da tutto quanto ha a che fare con il tecnicismo e, parallelamente, si assiste ad una diminuzione di interesse, almeno apparentemente, verso le scienze umanistiche. Pare non esserci grande bisogno di termini che ci ricordino non tanto sfumature poetiche, ma neanche un maggiore approfondimento del vocabolario di ognuno di noi, che pure la lingua italiana può offrire. Si sente casomai il bisogno di razionalizzare i termini, di specializzarli, di dare le maggiori sicurezze possibili, come a voler evitare malintesi e, in conclusione, di omogeneizzare le parole, e dunque il linguaggio usato, a danno di tutte le altre possibili varianti e sfumature, il che può portare ad un impoverimento della lingua comune corrente, quando non addirittura del pensiero stesso.
Il processo accennato è in essere in buona parte del mondo odierno, sia quello economicamente e tecnologicamente evoluto, come quello occidentale, che non: il primo sempre alla ricerca di termini sintetici ed attuali; il secondo (o buona parte di esso) sempre più spesso teso all'acritica imitazione del primo.
In questo turbinìo di espressioni, è sempre più usuale la creazione di neologismi, spesso di derivazione straniera; a volte utile in ambito specialistico, altre utilizzate anche in ambienti diversi. Sono le parole che entrano a far parte della lingua parlata di cui sopra.