Linguaggio, comunicazione, propaganda

 

Autore: Alessandro Zabini

Se le capacita' di organizzazione e d'intervento per risolvere i
problemi e per cambiare le situazioni derivano da nuove analisi critiche
e si fondano sulla facolta' di elaborazione e di trasmissione del
pensiero, sulle capacita' di ragionamento e di discussione, allora e'
centrale il problema del linguaggio e della comunicazione, cioe' delle
forme del discorso.

Alla luce di un deterioramento linguistico ormai diffusissimo e
incontrastato, di cui si possono trovare esempi in abbondanza in
televisione, sulla stampa e in politica, -- dove troppo spesso la lingua
italiana viene maldestramente usata, -- appare legittimo temere,
purtroppo, che la propaganda finisca per risultare piu' efficace del
discorso critico (ragionamento e discussione) nel mobilitare le persone.

Si puo' ricordare, a questo proposito, la storia degli Indiani
d'America. Molti popoli nativi americani vivevano secondo
un'organizzazione assolutamente libera e "democratica", in cui il
massimo di responsabilita' sociale conviveva con il massimo di autonomia
individuale. Spesso le decisioni venivano prese in seguito a discussioni
e pronunciamenti ultrademocratici, e tuttavia non erano vincolanti. La
capacita' di espressione e di persuasione era fondamentale. Ma mentre
gli Indiani si attardavano a discutere, i Bianchi, mobilitati con
estrema efficacia dalla propaganda, agivano tempestivamente e con successo.

Numerose affermazioni spesso ripetute nel corso della campagna
elettorale sono evidentemente false, come potrebbe dimostrare
l'esperienza quotidiana: ad esempio, la constatazione che l'aumento dei
prezzi non dipende dall'Euro, bensi' dalla disonesta' di molti Italiani,
i quali hanno finto immediatamente di non conoscere le equivalenze,
cambiando 5.000 lire con 5,00 euro. Se la maggior parte degli elettori
scegliesse di credere alle falsita' propagandistiche che contraddicono
l'esperienza quotidiana, se ne potrebbe concludere che il discorso
critico non puo' contrastare la propaganda...

Secondo una ricerca statuinitense (v.
<http://www.livescience.com/othernews/060124_political_decisions.html>),
l'essere umano risulta sostanzialmente molto rozzo: respinge il dolore e
cerca il piacere. Se un discorso, sebbene falso, corrisponde al suo
pregiudizio o al suo desiderio, cio' lo gratifica, gli procura piacere,
e quindi viene preferito ad un discorso che, sebbene, vero, contraddice
il suo pregiudizio o il suo desiderio, e dunque gli procura sofferenza o
turbamento. Se si sente gratificato e compensato per le sue frustrazioni
nell'identificarsi con un capo, con una figura carismatica, allora i
discorsi di costui gli procurano piacere, percio' li accetta e li
approva, sebbene siano evidentemente falsi, mentre i discorsi altrui,
che li contraddicono e gli procurano sofferenza, li respinge, sebbene
siano evidentemente veri. Purtroppo, pare che tutto cio' trovi
abbondanti conferme nella comune esperienza quotidiana.

Forse l'essere umano non vive di esperienza, ne' di scienza, bensi'
d'immaginazione, soprattutto quando ne ha poca. Forse tende ad evitare
la riflessione critica, e ad accogliere invece cio' che corrisponde a
quello che gia' crede, o a quello che vuole credere, o a quello in cui
s'illude di credere, respingendo tutto cio' che non corrisponde al
pregiudizio o all'illusione. Di conseguenza, e' estremamente vulnerabile
alla propaganda e puo' essere condizionato molto facilmente.

Si prospetta dunque un dubbio terribile... Forse, per poter agire,
organizzare e cambiare le cose, non conviene stimolare le coscienze
mediante il pensiero critico, ma piuttosto manipolare e mobilitare le
coscienze attraverso la propaganda, oppure la contropropaganda, o il
controcondizionamento.

Attualmente ci si offre una possibilita' che un tempo era preclusa alla
grande maggioranza delle persone: disporre dei mezzi di produzione
dell'arte e della comunicazione. Ciascuno di noi ha accesso a una
quantita' pressoche' incommensurabile di materiali, e produce
autonomamente, o puo' produrre, una quantita' enorme di materiali. Al
tempo stesso, pero', la proliferazione che ne deriva rischia di rendere
impossibile l'assimilazione, cioe' la riflessione su cio' che si
raccoglie, e lo sviluppo di tecniche e di forme espressive adeguate.
Tutto cio' si riflette negativamente anche sulle capacita' di discussione.

 

-- Inchieste demoscopiche

Per avere valore scientifico e per risultare rappresentativo, un
sondaggio dovrebbe essere valutato in base ai criteri e ai metodi con
cui viene condotto. In televisione si susseguono affermazioni del tutto
acritiche, quali "Il 70% ha risposto che..." Il 70% di cosa? Dei
telespettatori in ascolto? E quanti sono? Come viene calcolato il loro
numero? Anche se cio' fosse documentato, si tratterebbe comunque di
qualcosa di ben diverso da un campione rappresentativo, percio'
l'opinione espressa sarebbe in ogni modo priva di qualunque significato.

Lo stesso vale per le interviste trasmesse dai telegiornali: alcuni
passanti, scelti piu' o meno a caso, vengono intervistati, poi le
risposte corrispondenti all'opinione che si vuole suggerire vengono
selezionate e giustapposte con un po' di taglia e incolla per
sottolineare tale opinione, e infine le interviste vengono presentate in
maniera tale da lasciare intendere che si tratti di un campione
rappresentativo dell'opinione prevalente fra la popolazione della
localita' in cui le interviste stesse sono state raccolte.

 

-- Guerra in Iraq

Per restare in tema di propaganda, si puo' citare una considerazione di
Edoardo Sanguineti, tratta da "La Repubblica", Venerdi', 7 Aprile 2006,
p. 55, che contiene un estratto da "Sanguineti's Song: Conversazioni
immorali", a cura di Antonio Gnoli, Milano, Feltrinelli, 2006: "I
classici del marxismo dicevano che la guerra e' importantissima perche'
chi vince lo fa grazie alla violenza, ma questa implica un consenso,
ovvero un certo grado e un certo modo di manipolazione della realta'. E'
chiaro che non si tratta piu' soltanto di forza bruta. Dietro a un
evento bellico c'e' un lavoro pazzesco di gente persuasa da ragioni che
per noi possono essere nobili o ignobili. La fatica che facciamo
individualmente per dare senso alla nostra esperienza soggettiva e un
minimo di coerenza al caos, per cui oggi ci emoziona una cosa e domani
la stessa cosa ci indigna, e' appartenuta a tutto il nostro passato".

Tuttavia si puo' anche considerare l'argomento in modo piu' schematico,
talche' la guerra in Iraq puo' forse essere considerata come una
manifestazione estrema delle contraddizioni che operano in tutti gli
aspetti della nostra esistenza, a partire da quelli piu' elementari, in
quanto essa viene prodotta attraverso l'ingiustizia, lo sfruttamento, la
distruzione, in modi che non hanno piu' nulla di naturale e di umano. Al
tempo stesso, essa offre numerosi vantaggi a cui noi Occidentali non
siamo granche' disposti a rinunciare (e a cui ambiscono anche coloro che
emigrano dai loro paesi in Occidente), incluse molte cose che si possono
considerare conquiste di civilta'. Una contraddizione emerge allorche'
si considera che la nostra condizione di vita dipende ancora, in gran
parte, dal petrolio.

Forse si puo' riconoscere che esiste una guerra prodotta da una serie di
gravi problemi politico-economici insoluti, a cui la politica
occidentale non ha saputo reagire adeguatamente, e che tale guerra e'
stata voluta, preparata e dichiarata da un insieme di gruppi, che
sfrutta la religione islamica, -- allo scopo di generare consenso e di
reclutare soldati mediante il fanatismo religioso alimentato dalla
poverta' e dalla frustrazione, -- e che, non possedendo l'organizzazione
politica ed economica necessaria per condurre una guerra "tradizionale",
ricorre al terrorismo. Forse questo insieme di gruppi vuole imporre un
modello sociale e culturale che nega tutto cio' che di positivo la
civilta' occidentale e' in grado di offrirci, nonostante tutte le sue
ingiustizie e le sue contraddizioni, e rafforza tutto cio' che di
negativo essa produce. Allora, forse, la guerra non e' stata dichiarata
soltanto agli Americani cattivi e sfruttatori, bensi' a tutti noi.

Purtroppo la risposta militare americana, -- quantunque si possa
giudicare sbagliata, maldestra o fallimentare, conseguenza di un'analisi
politica inadeguata o arretrata rispetto alla sfida terroristica --
sembra essere stata l'unica risposta concreta alla dichiarazione di
guerra dei gruppi terroristici, rispetto all'incertezza e alla
confusione dell'Europa.

Lungi dall'essere motivate dagli ideali, le guerre, come la gran parte
delle azioni umane, hanno cause e obiettivi economici e politici, e si
vincono con la superiorita' economica, che include la disponibilita'
energetica. Se l'invasione dell'Iraq aveva come obiettivo il petrolio,
-- e se si ammette che, fin quando le fonti energetiche saranno
controllate dall'America e dall'Europa, la stabilita' delle nostre
condizioni di vita sara' assicurata, -- allora, nonostante l'ipocrisia
con cui e' stata giustificata e l'enorme groviglio di interessi privati
che favorisce, si potrebbe forse considerare che essa difende anche i
nostri interessi. Se le fonti energetiche dovessero essere controllate
dai gruppi terroristici, infatti, la situazione cambierebbe
drasticamente, sia per noi, sia per i paesi islamici, giacche' tali
gruppi non s'ispirano di certo a concezioni sociopolitiche che prevedano
il miglioramento delle condizioni materiali di esistenza delle masse
islamiche, anzi, si puo' supporre che, se mai queste ultime
migliorassero, le fondamenta del fanatismo religioso, che assicura loro
il potere, si disgregherebbero.

 

-- Alta velocità

L'alta velocita' appare del tutto inutile, se si giudica che la rete
ferroviaria esistente non funziona come dovrebbe: prima di dedicarsi ad
essa, occorrerebbe rendere efficiente quella che e' gia' presente.
Inoltre, esistono buone ragioni per ritenere (penso ai documenti forniti
da Legambiente, per cui v. <http://www.legambientevalsusa.it/>) che,
almeno nel caso della TAV in Piemonte, si tratta di una colossale
speculazione economica, la quale sembra destinata a danneggiare
rovinosamente, se non irreparabilmente, le finanze dello stato italiano.